Centro Yoga Shanti

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   Associazione culturale per lo studio e la diffusione della filosofia yoga

 

     Siamo lieti di pubblicare su "Le ali di Ermes" la presentazione dell'Associazione "Centro Yoga Shanti", che si propone l'obiettivo della diffusione della filosofia e della pratica dello yoga. In modo chiaro e incisivo, la responsabile del Centro, Pina Bizzarro, espone qui di seguito i principi e gli scopi di questa importante disciplina.

 I lettori interessati possono visitare il sito dell'Associazione, all'indirizzo www.centroyogashanti.org

 

Ringrazio il Direttore e l’amico Pippo Palazzolo per avermi concesso questo spazio all’interno del suo sito. Il mio compito, non facile, è quello di presentare lo Yoga. Nel biglietto da visita di questa disciplina generalmente si mette  in evidenza che è un metodo antichissimo che risale a più di 5000 anni fa, che la parola yoga vuol dire “unione”, che è insieme una scienza ed una filosofia che porta l’essere umano a realizzare la propria natura, il proprio vero sé.

Ho letto  tante definizioni sullo yoga, ognuna delle quali risente del percorso individuale di chi le formula. Sono tutte davvero molte belle. Alcune pongono l’accento sugli aspetti fisici, altre su quelli mentali, altre ancora sugli quelli spirituali.

Ma la scuola che mi sta formando come insegnante di yoga (I.S.F.I.Y. – Federazione Italiana yoga – Roma), suggerisce che bisogna sempre partire dalla tradizione, proprio per non perdersi in quella confusione che negli ultimi anni ha gettato delle ombre su tutte le discipline orientali.

L’Unione Europea di Yoga indica il testo di Patanjali, gli “Yoga Sutra”, come fonte di riferimento universalmente riconosciuta. Nel 2° sutra del I° libro Patanjali definisce lo Yoga utilizzando solo 3 parole: “YOGA CITTAVRTTI NIRODHA”.

CITTA – rappresenta la mente nel senso più vasto del termine, con i suoi aspetti consci e inconsci;

VRTTI – è un movimento, una vibrazione, qualche cosa che a un certo momento viene a turbare uno stato di calma;

NIRODHA – è  il controllo, la cessazione, o la non identificazione con le onde-pensiero di “città”

Lo yoga è perciò “ il controllo, la cessazione o la non identificazione con il  movimento della mente”

Le prime domande che sorgono sono: questo controllo è totale o parziale? Devo dare una direzione univoca alla mente, al pensiero, o deve arrivare a una cessazione dello stesso? Come è possibile controllare il movimento della mente con la mente stessa?

Una cosa è certa: se vogliamo controllare la mente dobbiamo prima di tutto conoscerla, comprendere il suo funzionamento e la sua attività.

L’altra domanda a questo punto è: come è possibile conoscere la mente, osservare le vrtti senza identificarci in esse? Conosciamo sufficientemente il processo del pensiero?

Qualunque sia la strada che scegliamo, bisognerà iniziare con un processo di semplice osservazione, bisognerà partire dall’osservare cosa ci succede dentro.

Non conviene cercare di partire subito avendo l’intenzione di fermare la propria mente su un punto preciso, ma è molto più saggio imparare l’arte dell’osservazione; attraverso questa semplice osservazione e attraverso l’accettazione del proprio contenuto interiore possiamo arrivare man mano ad un processo di non identificazione con la mente e i suoi pensieri. Questa non identificazione toglie l’alimentazione che produce il movimento e così è possibile arrivare al controllo della mente.

Assagioli, il padre della “psicosintesi”, afferma che per prendere le debite distanze da quello che ci sta succedendo, proprio per non confonderci con i contenuti cangianti della mente, dobbiamo avere la nitida coscienza dell’”io sono – io esisto” al di là di tutto quello che ci può capitare; invece di dire “ io sono felice o io sono triste”, potremmo dire “un’onda di piacere o di dolore sta attraversando la mia mente”.

Tutte le scuole tradizionali parlando della mente, pongono l’accento sull’importanza di creare la qualità del testimone, dissociarsi dal movimento mentale, cercando un punto di osservazione favorevole e generalmente si richiama l’immagine di chi si siede sulla riva del fiume mentre l’acqua scorre e la si osserva senza cercare di fermarla.

La cosa più importante che possiamo fare perciò a tutti i livelli, sia fisico, respiratorio e mentale, è fermarsi e lasciar decantare, imparare l’arte di non fare assolutamente niente.

Vi è un aneddoto della vita del Buddha: si dice che un giorno il Buddha viaggiasse con il suo discepolo Ananda e dopo aver camminato per ore, stanchi, si fermarono in un bosco per la pratica meditativa. Il Buddha chiese ad Ananda se poteva andare gentilmente a prendere dell’acqua al ruscello che avevano da poco attraversato. Ananda tornando indietro vide che erano passati dei cavalli e l’acqua era torbida, sporca e non sapeva come fare, anzi più la muoveva per pulirla cercando di togliere il fango con le mani e più questa si sporcava. Tornò indietro e disse che non aveva potuto prendere l’acqua e che l’avrebbe cercata in un altro posto. Il Buddha rispose “tu torni là e vai a prendere quell’acqua!”. Ananda tornò indietro e con il tempo che era passato, l’acqua era diventata limpida da sola; così imparò la lezione del fermarsi e saper aspettare.

Lo yoga ci insegna l’arte di osservare per lasciare sedimentare. Pratichiamo le posizioni (asana) come pretesto per allenare la mente all’osservazione a partire dal corpo, in quanto rappresenta l’aspetto più facile da osservare. Inoltre le asana hanno la funzione di armonizzare il flusso di energia che scorre nelle nadi (canali energetici), e questo si traduce anche in un immediato benessere fisiologico. L’asana ovviamente è anche altro e mi riserverò in futuro un approfondimento.

Una classe di yoga vuole essere uno spazio di  ascolto consapevole intervallato dalle asana.

Perciò lo yoga non deve intendersi come un’insieme di esercizi più o meno difficili, o una ginnastica dolce, ma come una disciplina psicofisica che può condurci nella condizione di “cittavrtti nirodha”. Yogananda dice che “là dove cessa il rumore inizia Dio”. Ciò vuol dire che nel momento in cui facciamo esperienza di quella dimensione silenziosa e quieta della mente allora e solo allora possiamo scoprire la nostra vera natura. Ogni tradizione e ogni religione hanno dato un nome a questa realtà, si parla di Purusha, di Atman, di Anima , di semplice scintilla divina o di energia universale ed eterna che è al di là delle dimensioni spazio-temporali e che ci porta all’esperienza di una dimensione di vita più ampia, rispetto alla nostra piccola storia personale che è comunque inserita nel grande respiro cosmico.

I testi sacri ci dicono che c’è in ognuno di noi la possibilità di cogliere e far emergere questa realtà, qualcosa di più grande rispetto a quello che pensiamo di essere, di conoscere, di sentire. Ma se continuiamo a identificarci nel nostro corpo, nel cumulo di conoscenze e di sentimenti che gelosamente custodiamo, se non ci alleggeriamo un po’ e cominciamo ad uscire dalle nostre solidificazioni mentali, non potremo mai percepire questa dimensione più vasta che ci abita. Non è qualcosa che dobbiamo conquistare, ma bensì riscoprire. E’ la nostra vera essenza verso la quale confusamente tutti noi aspiriamo.

Pina Bizzarro

sito web: www.centroyogashanti.org

      

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011