Il Barone e il Castello – di Federico Guastella
Situata tra il rilievo degli Iblei e la costa che degrada verso il mare, ecco l’accattivante campagna di Donnafugata, suggestiva per la fitta presenza del carrubo e l’intensità degli odori agresti che invadono la valle.
Romantico il toponimo di origine araba: ‘Ayn as Jafâiat, fonte della salute, che sottolinea un punto geografico ricco di sorgenti dall’acqua benefica. In quest’amena località, che si distingue dalla Donnafugata del Gattopardo, si trova un’abitazione gentilizia: superba costruzione di chiara origine feudale con sovrapposizione di motivi architettonici che denotano un’adesione estetica al gusto di epoche trascorse.
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Fino alla prima metà dell’Ottocento era una casa di villeggiatura al centro del feudo; ma la bizzarra fantasia di Corrado Arezzo ( 1824-1895), figlio del Barone Francesco e di Vincenza De Spucches1, ridiede vita e spazi con la pretesa del castello. Eclettici gli interventi di diversi stili: il neoclassico sposato al gotico-veneziano con torrioni di gusto tardo-rinascimentale e immagini tipiche della cultura egizia quale la sfinge, merlature riecheggianti il fascino della lontana tradizione medievale. All’interno saloni e camere sono impreziositi da mobili e soprammobili. Per non dire delle statue neoclassiche lungo la scalinata all’ingresso centrale o del reliquiario araldico delle nobili famiglie siciliane nel salone degli stemmi o del pregevole lampadario di Murano nel salotto delle signore. La ricca biblioteca e una raccolta di quadri testimoniano l’amore per lo studio e per l’arte.
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Nel vasto parco di circa otto ettari, cosparso di viali bene articolati e di vegetazione dai ficus secolari alle cactacee nei pressi delle fontane, si sente un’aria di serenità bucolica2. Qui Corrado Arezzo trascorreva con la famiglia e gli amici il periodo della villeggiatura estiva, trasferendosi poi nel palazzo di Ragusa Ibla per il rimanente periodo dell’anno.
A 24 anni, rappresentante al Parlamento siciliano, partecipò alla rivoluzione siciliana del 1848, stampando e dirigendo a Palermo in cui da ragazzo aveva studiato, il giornale Il Gatto: titolo metaforico allusivo della lotta contro i “sorci” borbonici. Un foglio di commenti politici oltre che di pungenti osservazioni; anche ricco di una satira mordace diretta ai nostalgici del regime borbonico e spesso agli inetti esponenti liberali. Vigilato dalla polizia in seguito al fallimento della rivoluzione, curò i beni di famiglia e collaborò col padre nella realizzazione di una filanda (1854), dove furono impiegati cinquanta operai. Deputato eletto nel collegio di Vizzini (7 aprile 1861) e dopo senatore per censo (1865), potremmo dirlo un personaggio che riuniva in sé le qualità di aristocratico agrario, qualificato esponente dell’aristocrazia liberale, e di patriota liberale con qualche simpatia – si suppone – per la Massoneria: ipotesi che potrebbe essere avvalorata dagli elementi simbolici qua e là sparsi nel parco che connotano significati segreti in omaggio all’esoterico di cui egli certamente dovette avvertire l’attrazione.
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L’attenzione ai luoghi del giardino rivela segnali di un percorso iniziatico: a partire dalla presenza della sfinge egizia alla sommità della scalinata monumentale che dal parco conduce al loggiato (il piano nobile). Del resto, nella lingua copta, la Sfinge si dice “Be-Hit”: parola che significa “Guardiano”. Sfinge, dunque, come guardiana della vita o custode del Tempio-casa. Le grotte con stalattiti simboleggiano il ctonio da cui ha origine la vita, mentre il labirinto esprime percorsi esistenziali di ricerca3. Altro elemento della simbologia massonica è il tempietto neoclassico a pianta circolare che, posto sulla montagnola sovrastante le grotte, ha la cupola sostenuta da otto colonne con l’affresco della volta celeste.
Nella mente innamorata del barone è possibile cogliere la pensosità di fronte ai destini eterni nonché la propensione a meditare non senza la malinconica certezza della precarietà della vita, richiamata nella parte più ombrosa del giardino, a nord-ovest, dalla presenza degli avelli di foscoliana memoria, circondati da cipressi.
Di questo luogo gioiosamente vissuto è possibile dunque percepire la ricerca del mistero: proiezione dell’altro e dell’altrove entro lo splendido linguaggio della natura nell’assolata campagna mediterranea densa di miti e di memorie. Non è difficile immaginare che nel corso degli incontri al “castello”, le famiglie patrizie ospiti che potevano raggiungerlo da una strada collegata alla stazione ferroviaria, voluta dal barone già senatore, oltre ai divertimenti che il parco offriva, si raccontassero vicende di viaggi col vantaggio di conoscenze al di là del recinto ibleo.
L’atteggiamento meditativo del barone è altresì rinvenibile nel suo volumetto di poesie comprendente cinque componimenti (in Alcuni versi) e diciannove sonetti (in Voci dell’anima), raccolti col titolo Alcuni versi, pubblicato dalla tipografia e legatoria Clamis e Roberti in Palermo nel 1861: un momento quanto mai incandescente nella storia della Sicilia, all’indomani si può dire dello sbarco dei Mille, e che Tomasi di Lampedusa ha scelto come tempo storico del Gattopardo. Merita di essere ricordata la poesia L’Armonia che scritta in endecasillabi canta l’incanto dell’eden prima dell’irruzione della trasgressione, causa dei mali del mondo. Nel complesso si tratta della lirica privata di un gran lettore del suo tempo, il cui linguaggio non sa però farsi poesia. Si avverte la presenza di questo o di quell’altro autore – Leopardi in primo luogo – e ci sono motivi cari a un romanticismo estenuante e contemplativo come sono raccontati da un Prati o da un Aleardi. Amico del poeta dialettale, suo concittadino, Giambattista Marini, negli anni giovanili è da supporre che abbia frequentato gli ambienti letterari palermitani. Ed egli per parte di madre era cugino del poeta e traduttore Giuseppe de Spucches, principe di Galati, marito della poetessa Giuseppina Turrisi Colonna.
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Non certo poeta, il barone Corrado Arezzo è essenzialmente un esteta che ama l’arte, tra cui la musica in particolare; ricercatore di razza, egli è mosso dalla molla della curiosità grazie alla quale costruisce la propria conoscenza. L’elezione a deputato nella prima legislatura (1861), che lo fece risiedere a Torino, fu certamente occasione preziosa per ulteriori spazi di riflessioni e di esperienze culturali. Personaggio, dunque, molto in vista ed influente nella vita politica ed economica. Dagli anni ‘70 fino al 1881 fu sindaco di Ragusa Ibla, dov’è la sua signorile abitazione: palazzo Donnafugata che ha un luogo segreto d’amore per l’arte, uno spazio inatteso e riservato come una loggia iniziatica, un teatrino appartato per lo svago intellettuale. Un amnio potremmo dirlo, dove giungevano gli echi della modernità europea. E non manca un pezzo di Malta incastonato nel palazzo: la “Gallarija”, la leggiadra loggetta in legno da cui si poteva guardare senza essere visti.
L’economista Balsamo, che vi fu ospite, descrisse il gusto di una mondanità deliziosa fra galanteria civettuola e voluttuose vivacità: un bel brano che sarebbe piaciuto a Tomasi di Lampedusa.
A Ibla il barone frequentava il Circolo di Conversazione (il Circolo dei nobili detto caffè dei Cavalieri o ‘u circolu re cavalieri), nato per esigenze di socializzazione, di affari e di interessi comuni, di cultura in genere. Socio fondatore il padre insieme ad altri aristocratici ed alcuni borghesi. E’ un’elegante costruzione in stile neoclassico con la presenza di sfingi alate nei tre bassorilievi, fatta costruire intorno al 1850 e inaugurata nel 1856. All’interno rapiscono lo sguardo le pitture di Tino del Campo in un mutato clima simbolista. Eleganti i divani insieme allo scintillio dei lampadari, alla policromia del pavimento a scacchi romboidali4.
Un siciliano illuminato e di raffinatissimo stile Corrado Arezzo, un siciliano che girava e tornava al luogo natio, portando con sé immagini del mondo, come tanti signori dell’Ottocento. Della sua cultura aristocratica, eclettica e manieristica, nostalgica e rievocativa, si conserva tanto: a Donnafugata, immersa nelle ombre melodiche del suo passato, vive quel particolare incanto per la mescolanza di gusti che esprimono la fresca vivacità dell’immaginazione.
Federico Guastella
Ragusa, 2 aprile 2022
Note:
- Nel bel volume Il castello di Donnafugata a Ragusa (Kalós, Palermo, 2002), Gabriele Arezzo di Trifiletti scrive: “Cresciuto nella rigorosa educazione familiare, il giovane barone fu condotto in Palermo e avviato agli studi nell’ambiente religioso dei Padri Filippini, educandosi, ai classici, alle lettere, alla storia; studiò il francese, il tedesco e, strano per quei tempi, anche l’inglese. La sua raffinata formazione culturale piano piano si fuse con una preparazione filantropica lodevolissima. Coltivò nella sua esperienza palermitana le fasi eclettiche, il virtuosismo botanico-agrario e la nuova linea elaborata del neo-gotico, sviluppato nella capitale quasi a sostegno di una medioevale sicilianità”. Intraprendente anche sul piano socio-economico, coadiuvò il padre, nel 1854, nella realizzazione di una filanda che utilizzava macchine mosse dall’acqua e dal vapore e che accoglieva oltre 50 operai. Quando Garibaldi sbarcò a Marsala funzionavano in Sicilia tremila telai; dopo l’unità ne rimasero meno di duecento. La stoffa cominciò ad arrivare da Biella, ebbe un costo doppio e i nostri lavoratori dei telai restarono disoccupati. Anche la filanda ragusana fu costretta a chiudere definitivamente i battenti nel 1874.
- Per l’approfondimento: Tiziana Turco, Il giardino di Donnafugata, in Il castello di Donnafugata a Ragusa, op. cit.
- E’ noto che il primo progetto fu attribuito all’architetto Dedalo. Si tratta di una costruzione architettonica caratterizzata da una pianta così tortuosa da rendere estremamente difficile sia l’ingresso, sia l’orientamento all’interno e, quindi, l’uscita. Richiama l’impresa di Teseo e il filo che Arianna: figlia di Minosse e di Pasife, che all’entrata, aveva fornito. in molteplici riti di iniziazione vi era l’idea di partire dalle viscere della Terra per risalire alla luce. Nel monachesimo cristiano, le cripte hanno svolto una fondamentale funzione di ricerca interiore e di lotta contro le insidie del demonio. Si potrebbe per esempio ricordare che nelle cattedrali francesi, i fedeli, a commemorazione del Calvario, percorrevano i labirinti, riprodotti sul pavimento, chiamati Chemins de Jerusalem. Sicché, per uscire dal “Caos”, il neofita, all’interno di se stesso, incomincia il cammino iniziatico per misurarsi con umiltà, per interrogarsi in modo vigile e continuativo e per decidere la direzione da dare al suo cammino. Egli deve quindi conoscersi con purezza di intenti allo scopo di abbattere i mostri identificabili nei vizi. Entrare nel labirinto e uscirne è perciò ineliminabile per tessere il filo della propria coscienza e continuare l’opera di perfezionamento, giungendo alla luce che è desiderio dell’ascesa e della contemplazione della bellezza.
- Così Carmelo Arezzo di Trifiletti (Junior) nell’opera Carmelo Arezzo di Treffiletti: sfumature di un architetto, creatività e umanità di un uomo nella Ragusa Ibla del 1900 (autopubblicata su Amazzon, 2022): <<Ragusa Ibla con il suo circolo espresse la sua contraddittorietà, che mediava l’essenza conservatrice di giorno, vestendosi elegantemente di notte – secondo quanto appuntato da Eugenio Sortino Trono nel suo diario – con le numerose feste danzanti notturne che si avvicendano negli eleganti palazzi dei soci o nel circolo di conversazione, si festeggiarono nel tempo fidanzamenti e sequenziali eventi mondani incentrati sulla fondamentale presenza delle Dame>>.
L’Autore
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Federico Guastella, abilitato all’insegnamento di Scienze Umane e Scienze umane e storia, è stato Ragusa dirigente scolastico. Apprezzato saggista, ricercatore scrupoloso ed esigente, autore di testi letterari in prosa e in versi, ha al suo attivo anche contributi di pedagogia e didattica, essendo stato impegnato in corsi di aggiornato per docenti della scuola primaria e dell’infanzia. La sua produzione spazia così dalla saggistica alla narrativa alla poesia. Nell’opera Chiaramonte Gulfi – La mia diceria (Ragusa, 2014) ha proposto un itinerario della memoria individuale e collettiva in un serrato dialogo a più voci tra l’attualità e la storia recente, tra le relazioni dei luoghi dell’anima e dei luoghi della natura e del paesaggio. Il libro Colapesce (Ragusa, 2012), scritto in collaborazione, ha valore pedagogico-educativo, oltre che letterario e demologico. Tra le ultime opere pubblicate dall’editore Bonanno di Acireale-Roma, si ricordano: Andrea Camilleri, Guida alla lettura (2015); Fra terra e cielo. Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino (2016); Serafino Amabile Guastella. La vita e le opere (2017); Il mito e il velo (2017); Viaggio intorno al libro rosso (2018); Ignazio Buttitta e Danilo Dolci, due profili culturali della Sicilia (2019); Luigi Pirandello. I romanzi, i miti (2020). Degno di nota il volume Una rilettura del Gattopardo (Bonanno 2021). Recentemente ha svolto una ricerca sulla Massoneria in provincia di Ragusa che si è conclusa con la pubblicazione del libro Alle radici della Massoneria Iblea (Bonanno, 2021), preceduto dall’opera Pagine esoteriche (Bonanno, 2017). Ha curato la prefazione di più opere; gli sono stati pubblicati articoli in diverse riviste; è stato premiato in più concorsi per la poesia e annualmente si è classificato al primo posto per i saggi anzidetti di cultura siciliana al concorso città di Favara (AG), indetto dal Centro Culturale “R. Guttuso”. E’ in corso di stampa la sua monografia Sguardo su Sciascia. Studioso di storia locale, attualmente è impegnato nella stesura del volume Il miele dolceamaro degli Iblei. Privilegiando la letteratura dei siciliani, sta altresì lavorando su una monografia dal titolo Sicilia letteraria – Luoghi e volti.