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Pasolini: “corsaro” e “luterano”

Pier Paolo Pasolini: "corsaro" e "luterano"

         di Federico Guastella

        La produzione poetica di Pasolini, complessa e spesso di non facile decifrazione per le allegorie usate, nonché per la contaminazione di generi letterari, si è svolta in concomitanza con la sua attività narrativa, cinematografica e giornalistica. Notevoli gli intrecci e i raccordi organici: difatti, non ci si può accostare alla sua poesia senza la conoscenza del suo universo così incisivo e pluricompositivo a partire dalla narrativa. Si pensi per esempio al romanzo Romanzi di vita, la cui data del 1955 è immediatamente successiva alla raccolta di poesie “La meglio gioventù” (1954) o al romanzo “Il sogno di una cosa” del 1962 (scritto tra il 1949 e il 1950), apparso un anno dopo la silloge “La religione del mio tempo”.

        Successivamente all’esperienza del Friuli contadino, modulata sulla parlata locale (la lingua degli scambi comunicativi fra i fanciulli in particolare che ha il fascino della musicalità e dell’immaginario), fu Roma ad essere il fulcro della sua creatività: la città-capitale che lo vide impegnato in plurimi versanti e in cui si compì tragicamente il suo destino. La Roma privilegiata è quella degradata delle borgate: misera e carnale ad un tempo. Siamo negli anni Sessanta che conobbero una profonda trasformazione antropologica, segnando il passaggio definitivo dalla società contadina a quella industrializzata. E’ il periodo del cosiddetto “boom economico” con l’affermazione del neocapitalismo, del consumismo e dell’avvento della televisione che soppiantò il cinema. Nella nuova epoca, chiamata da Pasolini “Nuova preistoria”, i poveri restarono poveri e l’inquietante spaesamento con l’ondata migratoria dal Sud al Nord  ebbe l’effetto della scomparsa del mondo arcaico.

         In tale contesto, ha scritto Danilo Amione: <<Pasolini considerava il Neorealismo uno degli emblemi della rinascita del nostro paese […] Il popolo si era trasformato in “massa informe” , secondo la definizione data dallo stesso regista nella sua poesia “Il glicine”, inserita nella raccolta “La religione del mio tempo, 1961 >>. Viene da pensare ad “Accattone” del 1961, le cui sequenze in bianco e nero mostrano la brutale condizione del sottoproletariato: la classe più abietta che, prodotta dal nascente mondo del Capitale, trovava la personificazione nel protagonista Vittorio Cataldi, simbolo di un mondo situato tra la miseria delle borgate e la squallida speculazione edilizia. Balza evidente lo scontro tra due civiltà: la supremazia della città sulla periferia, mentre il nuovo si fa strada inghiottendo la ruralità con le sue tradizioni. L’innovazione si manifesta e si sviluppa con il profitto, con il cinismo e con l’indifferenza verso i rapporti sociali. Sicché, Accattone, alla ricerca incessante di denaro per sopravvivere alla fame, è l’inesistente per gli altri, esistendo soltanto per se stesso. Rappresenta dunque il sottoproletariato che, vivendo fuori le mura della Roma perbenista ed alienante conosciuta nel film di Fellini La dolce vita (1960), utilizza miseri espedienti. 

        Siamo nella tematica delle “identità perdute” in conseguenza dell’accumulazione e della riduzione a merce dell’uomo, nonché dell’omologazione intesa come riduzione ad un unico modello di comportamento, rispetto alle quali Pasolini vorrebbe trovare una via d’uscita anche se la sconfitta del riscatto è inevitabile. Sono i vinti ad agire nel suo animo: per esempio, è il caso della prostituta nel film Mamma Roma (1968), che lavora per tirarsi fuori dalla vita e riportarsi a casa il figlio. Dominante il cupo esistere che già era apparso nel ‘59 nel romanzo Una vita violenta, dove il protagonista compie sì un percorso di rinascita, ma  subisce infine lo scacco di una morte crudele nel generoso tentativo di salvare una donna che viveva nella baracca, durante un’alluvione. 

        Anche in Ragazzi di vita la Roma degradata è consegnata ad una terribile ferinità. In sostanza, è la “vita proletaria” a costituire la passione di Pasolini: quella non contaminata dalla fame di ricchezza ad ogni costo; quella intesa come connubio di eros e di natura: da qui la sua distanza siderale dal fascismo e la polemica continua contro il volto di un potere demolitore dei miti del suo popolo vigoroso, travolto da una società marcusianamente fondata sull’avere e non sull’essere.  

        Sono questi i motivi per cui si schiera contro una disumanizzante modernità in qualità di “corsaro” e di “luterano” degli anni Settanta come egli stesso si definiva per la sua posizione controcorrente e anticonformista. “Corsaro” certamente lo era per l’aggressione a una società degradata mandata da lui avanti con il rigorismo eretico di un luterano al fine di sostenere i diritti civili sacrificati dall’arretratezza clericale e borghese. Nel contempo metteva in guardia dalla perdita del sacro e utilizzava ogni occasione per chiarificare il ruolo dell’intellettuale che deve <<mettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico>> per renderlo chiaro al popolo. Ad animarlo doveva essere l’amore per la comprensione: amare e comprendere costituivano un binomio inscindibile. Incisive le parole di Pasolini: qualora si scinda l’amare dal capire, <<l’amore è un puro fatto mistico e disumano>> (“Vie Nuove”, n. 52, 31 dicembre 1961). Il capire ha una specifica funzione: <<Noi abbiamo un potente mezzo di lotta: la forza della ragione, con la coerenza e la resistenza fisica e morale che essa dà. È con essa che dobbiamo lottare, senza perdere un colpo, senza desistere mai. I nostri avversari sono, criticamente e razionalmente, tanto deboli quanto sono poliziescamente forti: non potranno mentire in eterno. Dovranno pur rispondere, prima o poi alla ragione con la ragione, alle idee con le idee, al sentimento col sentimento. E allora taceranno: il loro castello di ricatti, di violenze e di menzogne crollerà>> (“Vie nuove” n. 33 a. XV, 20 agosto 1960, in Pasolini “Le belle bandiere (Dialoghi 1960-65)”, a cura di G. C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma, 1977). L’intellettuale, in sostanza, agisce da uomo libero e senza timori. Così Pasolini parla di se stesso, in proposito: << Ho sempre pensato, come qualsiasi persona normale, che dietro a chi scrive ci debba essere necessità di scrivere, libertà, autenticità, rischio. Pensare che ci debba essere qualcosa di sociale e di ufficiale che «fissi» l’autorevolezza di qualcuno, è un pensiero, appunto aberrante, dovuto evidentemente alla deformazione di chi non sappia più concepire verità al di fuori dell’autorità. Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero del resto degno di ogni più scandalosa ricerca (Scritti corsari, “Nuove prospettive storiche: la Chiesa è inutile al potere ”, 6 ottobre 1974. Sul ”Corriere della Sera” col titolo “Chiesa e Potere”). 

        Polemista e provocatore nel manifestare il dissenso, non si può non ricordare Teorema, film del 1968 che nello stesso anno precedeva l’omonimo romanzo. Vi è la rappresentazione del sistema ingabbiato in cui vive una famiglia borghese che, grazie alla presenza di un giovane la cui identità resta sconosciuta, viene attuata una terapia finalizzata alla liberazione emozionale. Sicché Pasolini, da grande artista, nel denunciare i comportamenti repressivi della borghesia, punta l’attenzione alla dimensione della corporeità coinvolta nella sfera delle affettività.

         Sul piano poetico, la raccolta più nota è indubbiamente Le ceneri di Gramsci (1954) che esprime abbandoni lirici e contraddizioni ideologiche in una confessione a cuore aperto senza possibilità di scampo; “L’usignolo della chiesa cattolica”, pubblicata un anno dopo, mostra un Pasolini che si rivela autobiografico e con sensi di colpa. E’ l’immagine della madre a trovarvi risalto e sarà lei, è noto, a dominare nel film Il Vangelo secondo Matteo 1964), prendendo il posto della Madonna. Anche nelle poesie occupa uno spazio centrale l’atto d’accusa contro la spietata logica del potere, arbitraria in tutti i sensi, giacché i potenti fanno quello che voglionoPassando da un’attività all’altra, va pure ricordata l’attività giornalistica, sviluppatasi dal 1973 con la collaborazione al Corriere della sera dopo precedenti interventi. Per esempio su Il Tempo, Paese sera, Il Giorno. Proprio nel Corriere ha modo di manifestare la sua vena polemica di “corsaro” e di “eretico” (del resto, egli stesso aveva definito così la sua indole). Diciamo sinteticamente che le tematiche privilegiate, occupando un posto sempre più dominante, furono la televisione e l’opinione pubblica, la sessualità degli italiani e il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nella società capitalistica e del consumo. Proprio sulla volgarità televisiva lanciava i suoi strali: espressione di una “sottocultura” che determina e condiziona le serate familiari, ben lontane da quelle che si trascorrevano nel mondo antico attraverso i racconti e i giochi partecipativi. Pasolini rifletteva anche sul comportamento della stampa italiana accusata di giudicare fatti e individui ancor prima che l’ordinamento giudiziario si pronunciasse. Ponendo sotto accusa la  gogna mediatica, constatava inoltre che l’opinione pubblica e la stampa si accanivano principalmente nei confronti dei cosiddetti diversi. I temi, raccolti in Empirismo eretico (1972), nel 1975 in Scritti corsari, cui seguirono Lettere luterane (1976, in parte già pubblicate in parte no, postume nell’anno successivo alla sua morte), ruotano attorno alla profonda trasformazione del tessuto sociale italiano con attenzione al passaggio dalla civiltà contadina a quella del benessere e del capitalismo. Presente in ogni articolo come bersaglio principale la borghesia considerata non  classe sociale, bensì come una sorta di virus in grado di avvelenare anche gli altri strati della società. 

 

        “Luterano” dunque: cioè riformatore. Come Lutero contestatore del cattolicesimo romano, come il protestante che con spietatezza condanna la storia che si compie a danno del progresso civile, culturale, politico. Da qui la matrice profeticamente religiosa di tutta la sua attività illuminista con la mitizzazione dell’innocenza del mondo preistorico delle comunità e dei riti che le legano di contro all’anonima massa dei consumatori. Ricorrente la critica al consumismo come ideologia del potere in Petrolio, il romanzo incompiuto pubblicato nel 1922 da Einaudi (l’aveva iniziato a scrivere nel 1972, ma essendo stato ucciso nel 1975 non poté completarlo). La narrazione, che ruota attorno alla carriera di Carlo, ingegnere torinese alla ENI, ha numerose osservazioni in merito ai mutati costumi.Per esempio, vi si legge: <<Le persone che passavano davanti a Carlo erano dei miseri cittadini ormai presi nell’orbita dell’angoscia e del benessere, corrotti e distrutti dalle mille lire di più che una società “sviluppata” aveva infilato loro in saccoccia… Erano dei piccoli borghesi senza destino, messi ai margini della storia del mondo, nel momento stesso in cui venivano omologati a tutti gli altri>>. Preso di mira è il potere democristiano, definito fascista, nonché quello industriale: le due forze dominanti  con la medesima intesa del mantenimento della sudditanza. 

        Poco noto è il Pasolini documentarista che ha pure intrecci con la sua poesia, ove si pensi al lungo componimento in terzine “La Guinea” riportato nella raccolta Poesia in forma di rosa. E’ il cupo e squallido presente della Resistenza tradita a spostare lo sguardo del poeta verso la concezione “terzomondista”, comprensiva del sottoproletariato “consumatore” rispetto al capitalismo produttore. 

        In sintesi, la sua lungimirante personalità ha coniugato l’immagine e la narrazione, l’analisi sociale analisi e politica. Nelle poesie Pasolini ha raggiunto il vertice nella raccolta Le ceneri di Gramsci (1954), dove grovigli ideologici, contraddizioni, conflitti e confessioni autobiografiche, non disgiunti da slanci lirici, evidenziano la perdita della bellezza nonché la denuncia di un sistema dove tutti sono in pericolo senza accorgersene per l’indifferenza che ostacola la crescita etica e civile del Paese: “Vivo nel non volere / del tramontato dopoguerra, amando / il mondo che odio – nella sua miseria, / sprezzante e perso per un oscuro scandalo / della coscienza”.      

Federico Guastella

Ragusa, 12 settembre 2023

Credit: l’immagine di apertura dell’articolo è tratta da https://www.linkiesta.it/blog/2019/11/pier-paolo-pasolini-e-il-racconto-degli-ultimi-per-capirne-la-grandezz/

BIBLIOGRAFIA MINIMA                                                                                                

Laura Betti (a cura di), Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Milano, Garzanti, 1977.

Nico Naldini, Pasolini, una vita, Torino, Einaudi, 1989.

Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Milano, Mondadori, 1998.

Angela Felice (a cura di), Pasolini e la televisione, Venezia, Marsilio Editori, 2001.        

Franco Grattarola, Pasolini una vita violentata. Pestaggi fisici e linciaggi morali: cronaca di una via Crucis laica attraverso la stampa dell’epoca, Roma, Coniglio, 2005.

Roberto Carnero, Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini, Milano, Bompiani, 2010. 

Pierpaolo Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano, Mimesis, 2012. 

Danilo Amione, L’occhio moltiplicatore del cinema, Milano, Mimesis, 2023.                                                                                                                                              

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