Alchimia: la medicina proibita
Alchimia: la medicina proibita
Talvolta davanti all’impossibilità, nella quale ci troviamo, di spingerci più in là senza violare il nostro giuramento, abbiamo preferito mantenere il silenzio ed il mutismo anziché fare allusioni non vere o abbandonarci ad un eccesso di confidenza. (Fulcanelli, “Il mistero delle cattedrali”, Ed. Mediterranee, 1972)
di Maria Teresa Carani* e Cosimo Alberto Russo
Nei sec. XIV e XV l’Alchimia diviene soggetto di molti manoscritti pubblicati in Italia e altri paesi europei. In queste opere si descrivono non solo le basi del pensiero alchemico, ma anche le attività di laboratorio per ottenere vari prodotti. Così l’alchimia stessa inizia a perdere la sua aura esoterica, segreta e magica e viene sempre più divulgata e conosciuta; questo, da un lato favorisce l’attenzione di medici e intellettuali, dall’altro provoca un fiorire di ciarlatani che cercano di approfittare di questo sapere per ottenere compensi truffaldini. Inoltre inizia a divenire oggetto di attenzione da parte delle Autorità, sia civili che religiose, con conseguenti divieti e persino persecuzioni.
Nel sec. XIV l’Alchimia era riconducibile a due filoni: quello “metallurgico” o “trasmutatorio”, e quello detto dell'”Elixir”. Il primo operava soprattutto con il fuoco puntando alla trasmutazione dei metalli o, per lo meno, alla loro purificazione; era quindi definito la “via secca”. Il secondo cercava, invece, di ottenere l’elisir che potesse guarire i malanni, tramite la distillazione per decontaminare le sostanze vegetali. Entrambi i metodi erano, però, basati sul principio della purificazione delle sostanze, in modo da eliminare le scorie e ottenere la loro essenza pura (come si cercava di fare con lo spirito del praticante, vera finalità dell’Alchimia). La conoscenza sempre più diffusa dei processi alchemici spingeva al concetto della utilitas, cioè all’utilizzo pratico dei procedimenti per ottenere materiali utili o farmaci medicinali. Così si sviluppava l’arte vetraria (esempio formidabile è la produzione vetraia di Murano) e la ceramica, e nello stesso tempo la produzione di farmaci “alchemici” che porterà al rinnovamento paracelsiano.
Paracelso
La vita irrequieta di Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (1493/1494-1541), più conosciuto come Paracelso (soprannome da lui scelto ad indicare il fatto che le sue sperimentazioni oltrepassavano le conoscenze dei medici tradizionalisti del suo tempo, legati alla medicina scolastica ed enciclopedica di Celso), e le controverse dottrine medico-farmaceutiche contenute nelle sue opere (molte delle quali scritte in tedesco), spiegano perché ben poche di queste opere siano state pubblicate quando l’autore era ancora in vita. Ci sono quindi giunti solamente pochi manoscritti autografi a lui attribuibili con certezza, mentre abbondano le versioni di copisti e allievi che furono pubblicate in parte già alla fine del XVI sec., per lo più in traduzione latina
Per Paracelso la vera medicina si basava sulla teoria dei “quattro pilastri”: l’astronomia, la filosofia, l’alchimia e la virtù personale del medico.
Attraverso questi quattro pilastri il medico era in grado di diagnosticare le malattie e di trovare i rimedi adeguati, senza attenersi alla tradizionale medicina di Ippocrate e Galeno basata sulla teoria degli umori, ma partendo dalla conoscenza dell’uomo “esterno” e dell’uomo “interno”; la corrispondenza che si ritrovava nell’uomo stesso tra macrocosmo e microcosmo, tra “anatomia interna” e “anatomia esterna” indicava al medico la via da seguire. I farmaci dovevano essere preparati in base all’astro del corpo interno e non in base a qualità, gradi o umori, poiché sia le malattie sia i rimedi derivavano dagli astri interni; per esempio il segno zodiacale dello Scorpione (Marte, governatore del segno) guariva la puntura dello scorpione; ciò che riguardava il cervello era sotto il dominio della Luna; la milza era invece sotto il dominio di Saturno.
Queste teorie furono integrate nella dottrina dei tria principia: zolfo (sulfur), mercurio (mercurius) e sale (sal). Lo zolfo era riconducibile alla combustione, il mercurio alla condensazione ed il sale alla calcinazione. Pur tuttavia i tre principi non indicavano il sale, lo zolfo e il mercurio comuni, ma le loro essenze, ovvero le sostanze purissime, da cui dipendevano tutte le proprietà dei corpi.
Paracelso infatti ipotizzava che ogni pianta, minerale e composto sulla terra fosse esistito, durante la creazione dell’universo, in una forma pura e incontaminata, poi nel tempo, gli elementi si erano caricati d’impurità, un fenomeno che aveva diminuito le loro proprietà curative, rendendoli tossici. Se però si riusciva a ritrovare lo stato di purezza originario di queste sostanze, cioè il loro spirito etereo o “quinta essenza delle cose”, esse si potevano utilizzare come medicine per guarire tutte le malattie.
Quindi, un altro aspetto importante della chimica e della farmacopea paracelsiane era rappresentato dai processi di distillazione attraverso i quali uno spiritus volatile poteva essere estratto da un corpo solido. Per questa ragione egli definiva l’alchimia come una scientia separationis, o ars spagyrica, che aveva il compito di estrarre dai corpi una quinta essentia impalpabile.
Da queste considerazioni sono sorte le basi delle attività dei medici a lui successivi, come la preparazione di farmaci per via chimica. Con Paracelso ebbe inizio l’era della iatrochimica, una dottrina medica che da un lato interpretava i processi fisiologici in termini chimici, dall’altro lato proponeva l’uso di rimedi chimici per la cura delle malattie.
Le teorie paracelsiane furono oggetto di forti polemiche tra chi ne era entusiasta e chi invece rifiutava qualsiasi commistione tra chemiatria e “magia”. In ogni caso alla fine del XVI secolo la chemiatria come ars chemica era entrata di diritto nel novero delle discipline mediche e il fondatore della chemiatria (iatrochimica) va considerato in ultima istanza Paracelso, in quanto è stato il primo ad aver introdotto questo metodo terapeutico nella medicina del suo tempo.
Spagiria
La spagiria (ars spagyrica) paracelsiana prende il nome dall’azione di separare e riunire; con separare si intende l’estrazione dell’essenza energetica delle piante o dei minerali per poi riunirla in una soluzione acquosa. La spagiria si basa sull’idea che l’uomo è in perfetto equilibrio e che una malattia interviene quando questo equilibrio si spezza; gli squilibri energetici, a lungo andare, si manifestano anche sul piano fisico.
Per curare la malattia in maniera efficace, quindi, è necessario agire sull’energia prima ancora che sul corpo. Paracelso inoltre intuisce che alcune sostanze sono tossiche, in quanto concentrano in quantità eccessiva la forza vitale; quindi riduce di molto le dosi da utilizzare e media i metalli con alcuni sali, in maniera che siano meglio metabolizzati dall’organismo. Nella spagiria ciò è fondamentale nella preparazione farmaceutica del mercurio, dell’antimonio e dell’arsenico, che così da veleni sono trasformati in farmaci. Il procedimento è utilizzato anche per i sali del maschile oro, utilizzati come tonico e stimolante dell’organismo, come disintossicante, per rinforzare il sistema immunitario, oppure per i sali del femminile argento, utilizzati come calmante, in caso di sbalzi di umore, con effetti benefici per tessuti, pelle, mucose e ghiandole, in caso di infezioni di batteri, virus e funghi.
Le preparazioni spagiriche sono tinture ed essenze estratte dalle piante officinali con tre procedimenti: fermentazione, distillazione e incenerimento. Le tinture utilizzano la forza risanatrice della pianta, il suo messaggio e la sua energia sottile e lavorano su corpo, mente e spirito e riportano l’equilibrio e la guarigione. Il prodotto è un insieme dinamizzato di oli essenziali, di etanolo (10/20 % massimo) e sali. Si può ricavare anche un unguento, mettendo la pianta seccata in un vaso con olio di ricino e lasciandola in infusione per circa 40 giorni, mescolandovi poi la calcinazione del residuo. Nel rimedio spagirico non è mai la quantità, ma la qualità a determinare l’azione terapeutica.
Si può notare che le tinture ed i metodi spagirici sono in parte alla base di teorie e procedimenti medici più recenti e di uso abbastanza diffuso, come l’omeopatia e la medicina antroposofica. La stessa spagiria è ancora utilizzata nella medicina olistica; d’altronde anche diversi elementi sono parte della medicina contemporanea, ad esempio: litio (per le patologie maniaco-depressive), platino e arsenico (in chemioterapia).
L’attenzione all’alchimia nella Roma del ‘600 risentiva ampiamente di quanto scritto finora; la diffusione di saggi e manoscritti sull’argomento e l’uso sempre maggiore dei metodi paracelsiani aveva portato ad un diffuso interesse, soprattutto negli ambienti aristocratici e anche ecclesiastici. Erano nati veri e propri cenacoli, come quello della regina Cristina di Svezia, gabinetti alchemici come quello del Cardinale Del Monte o il museo di Athanasius Kircher così come avevano operato chemiatri famosi come Francesco Borri.
Quest’ultimo è forse uno dei maggiori esempi (come d’altronde fu per lo stesso Paracelso) di persecuzione da parte delle istituzioni cattoliche, non tanto e non solo per le attività di alchimista e chemiatra quanto per l’adesione a movimenti eterodossi come il “quietismo”1. Egli era stato tormentato sin dalla gioventù da dubbi e preoccupazioni religiose e le ricerche alchimistiche incrementarono le sue tendenze mistiche e l’aspirazione ad una assoluta purezza. Tutto ciò lo portò a seguire i movimenti pauperistici e ribelli del periodo finendo sotto la lente dell’Inquisizione. Per trovare ulteriori elementi, oltre ai sospetti di eresia, contro di lui fu avanzata l’accusa di “veneficio” e nel 1661 fu condannato, in contumacia, al rogo. Date le sue grandi capacità come medico e chemiatra era però protetto dalle corti principesche (a Strasburgo effettuò un difficile intervento di cataratta), ma nello stesso tempo suscitò le gelosie e l’invidia degli ambienti medici e universitari che lo consideravano un truffatore e un ciarlatano. Alla fine, dopo la cattura, pur ottenendo, avendo abiurato, la commutazione della pena dal rogo al carcere a vita, finì nel carcere di Castel Sant’Angelo dove nel 1695 morì di malaria, non essendogli stata fornita la corteccia di china da lui richiesta.
E’ doveroso storicizzare l’avvento della iatrochimica paracelsiana e dell’azione dei suoi seguaci con l’evoluzione della cultura del tempo; non solo il pensiero di Cartesio e le teorie copernicane, ma anche l’interesse sempre maggiore delle Corti seicentesche per la ricerca “scientifica” sono alla base della nuova vena degli interessi alchemici (sempre meno esoterici e via via sempre più, per l’appunto, “scientifici”).
Tra il Cinquecento e il Seicento molte famiglie nobili, tra cui i Medici, gli Asburgo, gli Hohenzollern, avevano organizzato laboratori alchemici dove si producevano farmaci rari, si tentava di ricavare l’oro, si trattavano i metalli, si tingevano vetri e porcellane. A Parigi esistevano sin dal Cinquecento corsi pubblici per farmacisti nei quali si insegnava a preparare medicinali.
Il termine ‘laboratorio’ acquistò però un senso particolare quando le accademie e le società scientifiche seicentesche, all’interno di una generale riforma delle modalità di divulgazione e di apprendimento del sapere, cominciarono a fondarsi proprio sull’attività di laboratorio per studiare i processi scientifici e i fenomeni; l’Accademia del Cimento a Firenze, la Royal Society a Londra, l’Académie des Sciences a Parigi sono gli esempi più rilevanti dei luoghi dove il laboratorio permise un approccio totalmente nuovo alla conoscenza: l’esperimento si poteva ripetere, le conclusioni potevano essere contraddette e poi riconfermate, le conquiste dovevano essere sottoposte a verifica. Se l’Accademia contribuì a creare il mito di Galilei fondatore o ‘padre’ del metodo sperimentale, fu Robert Boyle, chimico, a volere la costituzione della Royal Society nel 1660 per promuovere la scienza matematica e sperimentale, sulla scia dell’insegnamento baconiano (lo stesso Isaac Newton fu uno dei suoi illustri presidenti).
L’attività degli osservatori astronomici e quella dei laboratori sono in sostanza due aspetti diversi di uno stesso innovativo metodo di indagine scientifica. L’accurato e non sempre facile lavoro di ricerca compiuto dalle accademie e dalle società attive nel Seicento trova in entrambi fondamentali risorse per formulare ipotesi nuove e alimentare un dibattito scientifico ricco e complesso. La ricerca alchemica, quindi, non poteva più rimanere confinata nell’esoterismo e naturalmente iniziò a trasformarsi in ricerca scientifica.
Maria Teresa Carani*
Cosimo Alberto Russo
Roma, settembre 2023
*Maria Teresa Carani è laureata in farmacia. Già membro della Giuria Esterna del premio letterario Donna Città di Roma, è socia dell’Accademia Italiana di Storia della Farmacia ed ha contribuito alla realizzazione dei tre documentari presentati in diversi convegni dell’Associazione Italiana di Storia della Farmacia: “La farmacia di Santa Maria Della Scala di Roma”, Trento 2013; “Suggestioni di un Museo”, Ferrara nel 2014; “Alchimisti ed alchimia nella Roma del ’600”, Ferrara 2020”. Autrice di diversi articoli sulla rivista di storia della farmacia “Atti e Memorie”, coautrice del libro “Cronache da Villa Ada”.
Nota 1: Complesso di dottrine cristiane diffusisi nel 17° sec. che sostenevano la necessità della «preghiera di quiete», cioè un atteggiamento di abbandono contemplativo del fedele di fronte a Dio, annullando qualsiasi attività. Il q., contrastato dalle autorità ecclesiastiche, anche perché portava a negare l’efficacia delle pratiche e dei riti tradizionali, ebbe come massimo esponente il teologo spagnolo M. de Molinos (1628-1696). In Italia ne fu esponente il cardinale Pier Matteo Petrucci, uomo assai vicino a papa Innocenzo XI (che condannò con una bolla il q., dopo essere stato sospettato d’esservi favorevole), che fu sottoposto a processo inquisitorio nel 1687. www.treccani.it/enciclopedia/quietismo_(Dizionario-di-Storia)/
L’immagine di apertura dell’articolo è tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/File:Il_laboratorio_dell%27alchimista,_Giovanni_Stradano,_studiolo_di_Francesco_I.jpg
L’immagine del laboratorio alchemico del Castello di Praga è tratta da https://www.fotocommunity.it/photo/praga-laboratorio-alchemico-sleewar/32270936
Riferimenti bibliografici:
Atti e Memorie – Maria Luigia Giusto, Bianca Maria Giusto: Nettare di virtù stellato, Pulvis Angelicus, Deleterium veleno: l’Antimonio, minerale ad uso Medicamentoso dalle molte sfaccettature – Dicembre 2018
Atti e Memorie – Marco Zini: Paracelso, quando l’alchimia diventa terapia. La farmacologia clinica – Aprile 2018
Treccani: Paracelso (Philippus Aureulus Theofrastus, detto Paracelsus) di Antonio Clericuzio – Storia della civiltà europea – a cura di Umberto Eco (2014)
Acta Medica Mediterranea, 2011, 27: 153 – Paracelso: vita e contributo all’evoluzione delle scienze mediche, umane e neuropsichiatriche. Ignazio Vecchio*, Elena Frasca**, Liborio Rampello***, Martino Ruggieri**, Luigi Rampello***, Cristina Tornali*, Alfio Antonio Grasso***, Silvana Raffaele**, Pietro Castellino* (*Dipartimento di Medicina e Patologie Sistemiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Catania; **Dipartimento di Processi Formativi, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Catania; ***Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Tecnologie Avanzate “G.F. Ingrassia”, Università di Catania).
www.treccani.it/enciclopedia/il-rinascimento-l-alchimia_(Storia-della-Scienza)/
www.visionealchemica.com/alchimia-e-salute-paracelso-2-di-4/
Il testo è bene organizzato anche se le conclusioni fanno capire che viene sottovalutata la dimensione esoterica della complessa tematica. Per una prospettiva più esoterica e meno scientifica, si deve arrivare alla metà del XX secolo con il contributo essenziale di Carl Gustav Jung e di Frances A. Yeats. Secondo Jung, l’alchimista che intraprende la via della “Grande Opera” compie un viaggio all’interno del proprio inconscio, realizzando un processo di sviluppo verso la consapevolezza del Sé. Sull’argomento ha scritto anche Elémire Zolla specificamente nel bel libro “Le meraviglie della natura: Introduzione all’alchimia”, dove la ricerca è importante in merito alla responsabilità del proprio viaggio e all’adempimento del proprio destino. A me pare di poter diche che “se è incontrovertibile e assai ben documentato il contributo che l’alchimia (in particolar modo quella spagirica) ha fornito alla chimica e alla farmacologia, portando loro in dote strumenti, terminologie e procedimenti operativi, è ben vero che questa rappresenta – pur nella sua verità – una visione fortemente riduttiva”. Nell’ambito della nuova prospettiva che la sottrae al ristretto ruolo di materia, cui da tempo è stata relegata, diventa significativa la definizione data da H. Hunwald: “L’Alchimia è la scienza complessiva delle trasmutazioni fisiche, biologiche, psichiche e spirituali e comprende tutti i regni dell’unica sostanza”.