Alchimia: una prospettiva interiore
Alchimia: una prospettiva interiore
di Federico Guastella
Alchimia, che significa “Arte della pietra filosofale”, proviene dall’arabo “al-Kimya”. Il termine trae origine dall’antico Egitto: “Kemi” equivaleva a “Terra nera”, indicante il limo del Nilo, indispensabile all’agricoltura in un paese insidiato dall’avanzare del deserto. Il limo nero, pur essendo amorfo, ha in sé una varietà di potenzialità senza le quali non è possibile alcuna manifestazione di vita. Kemi, dunque, è il “preformale”, il “potenziale”, il “virtuale”, presupposti per il compimento dell’ <<Opus>>. Suscettibile di trasmutazione è il nero limo, di raffinamento continuo in forme di vita sempre più perfette e inedite.
Originariamente l’alchimia era legata alla lavorazione dei metalli allo scopo di realizzare una sostanza perfetta. Per una prospettiva interiore e meno scientifica si deve arrivare alla metà del XX secolo con il contributo essenziale di Carl Gustav Jung e di Frances A. Yeats. Secondo Jung, l’alchimista che intraprende la via della “Grande Opera” compie un viaggio all’interno del proprio inconscio, realizzando un processo di sviluppo verso la consapevolezza del Sé. Egli ha scritto: “Ho sempre lavorato con la convinzione che non ci sono problemi impossibili. Ho visto quanto facilmente alcuni superano un problema nel quale altri falliscono completamente. Questo superamento risulta da un innalzamento del livello della coscienza. Quando cioè all’orizzonte del paziente compare un interesse più elevato e ampio, il problema insolubile perde la sua urgenza… sbiadisce di fronte a un nuovo e più forte orientamento della coscienza. Di tanto in tanto capita che un paziente riesca a superare se stesso grazie a potenzialità per lui sconosciute.
Ci sono problemi di per sé insolubili, in quanto esprimono le dualità della vita, non possono essere risolti ma possono essere superati quando si ha un ulteriore sviluppo psichico, quasi come se l’andare avanti fosse normale per la coscienza e la patologia consistesse invece nel rimanere bloccati dentro o davanti a un conflitto.” Sull’argomento ha scritto anche Elémire Zolla specificamente nel bel libro “Le meraviglie della natura: introduzione all’alchimia”, dove la ricerca è funzionale alla responsabilità del proprio viaggio e all’adempimento del proprio destino. Ha precisato Marco Rocchi: “Se è incontrovertibile e assai ben documentato il contributo che l’alchimia (in particolar modo quella spagirica) ha fornito alla chimica e alla farmacologia, portando loro in dote strumenti, terminologie e procedimenti operativi, è ben vero che questa rappresenta – pur nella sua verità – una visione fortemente riduttiva”. Nell’ambito della nuova prospettiva che la sottrae al ristretto ruolo di materia, cui da tempo è stata relegata, è significativa la definizione data da H. Hunwald: “L’Alchimia è la scienza complessiva delle trasmutazioni fisiche, biologiche, psichiche e spirituali e comprende tutti i regni dell’unica sostanza”. Il compito, che è di “riunire ciò che è sparso”, disperso, frammentario, si esplica in un processo di maturazione che richiede pazienza, perseveranza e concentrazione. L’obiettivo è di sciogliersi in un apparente annichilimento cui fa seguito una nuova solidificazione. Occorre infatti affrancarsi dalla fragilità dell’esperienza e nello stesso tempo ancorarla a livelli superiori, essendo ciascuno attivatore delle proprie depurazioni. In alchimia la trasformazione ha luogo attraverso tre fasi fondamentali: l’Opera al Nero (“Nigredo”), l’Opera al Bianco (“Albedo”), l’Opera al Rosso (“Rubedo”).
Essenziale allo sviluppo del processo è la morte iniziale con la contestuale “putrefactio”, simbolicamente espressa dall’immagine del seme che deve marcire nella terra affinché possa fruttificare. Siamo nella sequenza che corrisponde alla “Nigredo”, alla stagione invernale, alla terra, al regime di Saturno. Nel linguaggio mitico è assimilabile al “Chaos” o alle “acque primordiali”. Perciò, l’opera dell’alchimista è rivolta a rimodellare la propria anima secondo il noto acrostico V.I.T.R.I.O.L. dell’alchimista medievale Basilio Valentino, che per esteso recita “Visita Interiora Terrae, Rectificando, Invenies Occultum Lapidem”. Può così tradursi: <<Penetra nelle viscere della Terra e, percorrendo il retto sentiero, scoprirai la pietra che si cela ai tuoi occhi>>. Siamo nell’ambito del <<conosci te stesso>> espresso dall’allegorico linguaggio alchemico da alcune sostanze.
Se il sale, simbolo dell’incorruttibilità, è il principio primo di ogni purificazione, lo zolfo, che corrisponde al fuoco, attiva la combustibilità per lasciare il “caput mortuum”: cioè, le scorie, la cui proprietà è quella di non infiammarsi più. Non a caso, nella liturgia cattolica la funzione delle “Ceneri”, che dà inizio alla Quaresima, si risolve infine nella Resurrezione. La prima operazione da compiere è un “solve”: il separare il sottile dal denso, il fisso dal volatile. Azione, questa, che si realizza grazie alle particolari peculiarità del Mercurio, considerato come solvente: non a caso nella mitologia greca, Ermes, intermediario degli Dei, è il mediatore plastico che congiunge l’Alto e il Basso. L’acquisizione energetica avviene poi attraverso l’effettuazione di viaggi simbolici, dove la vera fatica d’Ercole è quella di spezzare la durissima scorza che imprigiona la vitalità degli elementi. Per evitare la dispersione delle energie benefiche, che può essere causata da resistenze interne ed esterne, è necessario che l’ “Athanor”, ovvero il forno dell’alchimista, sia ben chiuso. Metaforicamente l’Athanor potrebbe assimilarsi all’apparato digerente, mentre il lavoro alchemico alla “digestione” delle sostanze. In questa prospettiva, la via alchemica è mentale e poggia sull’atto volontario del perfezionamento continuo. E’ il «cuocere» l’azione specifica del “fuoco” che matura poco a poco le sostanze rozze e crude. Oltre al fuoco, quale espressione di volontà e di conoscenza, si parla anche negli scritti alchemici dell’acqua che bolle, ed è l’acqua a rappresentare il passaggio dallo stato corporeo a quello etereo.
Il percorso alchemico è quindi capace di agire sulla materia così come avviene nelle immersioni purificatrici. La Terra si scioglie in acqua per effetto del Fuoco e lascia in fondo al vaso le fecce o le scorie o la cenere. Questa fase, detta eclissi di Sole e di Luna, è la “Nigredo”, il primo “solve” che è l’inizio dell’“Albedo”. La bianca colomba che, levatasi in volo, torna all’Arca recando il ramoscello d’ulivo, è una chiara allusione al dominio di tutte le forze vegetative alimentate da una bianca linfa. Ci si può ancora imbattere nella reinsorgenza di forze oscure non sopite ed è il caso della lotta che Ercole ingaggia con l’Idra le cui teste mozzate rinascono di continuo. Col dominio delle passioni, la cavità sotterranea comincia ad essere rischiarata dal colore argenteo della luna. Ercole può così liberare Prometeo e la coscienza può mantenersi attiva in una modalità sottile. È dall’argento che si passa all’ultima fase del processo, la <<Rubedo>> che segna il termine delle fatiche. Rappresenta il connubio del Sole e della Luna, del Re e della Regina quale espressione dell’Androgino Spirituale in cui le polarità maschile-femminile sono compresenti perché divenute unica entità.
E’ l’ultima operazione del “solve et coagula”. La materia vede sciolta la propria individuazione nel profondo delle sue radici; si riunisce e si fissa con quello dello Spirito. Si potrebbe fare riferimento al mistero di Osiride, il Dio che muore e rinasce dopo essere stato ucciso dal fratello Seth che ne smembra il corpo, spargendone le varie parti per tutto l’Egitto. Iside, si sa, è in lutto e disperata cerca i resti dello sposo-fratello. Quando li ritrova, li rimette assieme; non essendo in grado di rianimare il cadavere, assunte le sembianze di un uccello, riesce a ravvivarlo a sufficienza per concepire il figlio Horus che assicura la discendenza regale. Il simbolismo alchemico è chiaro. Il sarcofago in cui Seth con un inganno rinchiude Osiride è il vaso alchemico e i chiodi di piombo con cui viene sigillato sono il metallo della “Nigredo”. La bara, poi gettata nell’oceano, dopo aver viaggiato si arena sotto un tamarindo, pianta i cui fiori bianchi esprimono l’albedo.
Scrive Bent Parodi: “Chi si accosta all’Arte, si accosta al Fuoco, e il Fuoco può imprigionare, rendere mortali, oppure dare la liberazione e l’immortalità. Se studiamo i nostri Fuochi condensati, reazioni psicofisiologiche egocentriche, ci accorgiamo di quanto ci abbiano reso metallizzati, riduttivi e unilaterali. C’è da stupirsi di quanto il nostro Oro sia stato costretto in una caverna di piombo. In questa prospettiva, la via del Fuoco chiama in causa la dimensione creativa insita in ciascuno di noi perché nella nostra “fornace” possa trasmutare il piombo in oro”. Si potrebbe ora citare un bel pensiero di Paolo Pulcina: “Se non hai trasformato te stesso, non potrai mai trasformare la materia: rimarrai un chimico, non un alchimista”.
“…Via del campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina…
…dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fiori”
Due frammenti del brano “Via del Campo” di Fabrizio de Andrè mostrano una certa conoscenza alchemica/esoterica da parte del grande Cantautore che nel suo motto finale evidenzia una verità antica quanto occultata. La vita è un processo di “raffinazione” della materia per cui la potenzialità di ciò che è grezzo è incomparabile rispetto a quanto è già costruito, definito. Ancora una volta la considerazione va fatta sul mistero della trasformazione o trasmutazione, che non è qualcosa di così lontano dalla realtà, ma è il movimento della Natura, quando viene messa in condizione di agire. Sappiamo quanto il buio, l’inconscio, il piombo, il caos, la cellula totipotente, staminale siano in grado di generare rispettivamente la vita, le idee, l’oro, un nuovo ordine, o una cellula altamente specializzata, se permettiamo alla Natura di agire (accompagnandola in alcuni casi, la trasmutazione dei metalli in natura ha bisogno di milioni di anni). Ma il principio è sempre lo stesso, la direzione va sempre dal non differenziato al differenziato, è questo il Moto naturale che dovrebbe far riflettere, perché non è implicito che ciò debba accadere “spontaneamente”. Nella prima quartina De Andrè parla della rugiada, moto di discesa dell’acqua terrestre dopo che la stessa è risalita in cielo, lui allude forse alla speranza, rappresentata dalla bambina, nel contesto povero e squallido di Via del Campo frequentato da prostitute al suo tempo, ma la bambina non è quella potenzialità che dicevamo, quell’essere ancora in fiore che aspetta di essere trasmutato? La rugiada non è la stessa acqua che si raffina dalla terra al cielo per poi apportare nuova vita alla terra stessa?
Federico Guastella
Ragusa, ottobre 2023
Fonte immagine di apertura (“Solve et coagula”): www.tragicomico.it/solve-et-coagula-alchimia/
Bibliografia
E. ZOLLA, Le meraviglie della natura: introduzione all’alchimia, Marsilio, Padova, 2005.
A. M. CORRADINI, I misteri di Osiride, “Hiram”, n. 1/2005.
M. NICOLOSI, Jung, l’alchimia e oltre, “Hiram”, n. 1/2005.
B. PARODI, Il cinabro sintesi dello spirito, “Hiram”, n. 1/2006.
M. ROCCHI, Santinelli, Newton e l’alchimia: un triangolo di luce, Argalìa, Urbino, 2010.
L. GAIA’, Riflessioni operative sul V.I.T.R.I.O.L. “Hiram”, n. 4/2012.
P. PULCINA, Newton l’alchimista, “Fenix”, n. 66/2014.