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La Baronessa di Carini, tra storia e leggenda

La Baronessa di Carini, tra storia e leggenda

di Federico Guastella

        Si deve a Salvatore Salomone-Marino la pubblicazione della storia d’amore e di morte della Baronessa di Carini (1870), di cui si tramandano circa quattrocento varianti1. Struggenti i versi da lui raccolti che a suo dire li aveva ascoltati da Giuseppe Gargagliano, contadino di Carini, dopo averne appreso dalla madre qualche frammento. Poi diede alle stampe altri due scritti: quello del 1873 conteneva più versi e l’altro del 1913 altre versioni.

        Sul fatto Aurelio Rigoli ha puntato l’acuto sguardo di antropologo nella sua opera La baronessa di Carini. Tradizione e poesia, Flaccovio, Palermo, 1982): si riferisce alla tragica fine di Laura Lanza di Trabia, già vittima di un matrimonio combinato, avvenuta la notte del 4 dicembre del 1563 per mano del padre don Cesare Lanza, barone di Trabia e pretore di Palermo, nel castello arabo-normanno di Carini, a 30 chilometri da Palermo.

Janet Agren e Ugo Pagliai nello sceneggiato televisivo “La Baronessa di Carini” (1975)

        Aveva 14 anni e per motivi di prestigio familiare era stata costretta a sposare Vincenzo La Grua Talamanca, barone di Carini, sedicenne e ambito rampollo della nobiltà del tempo. Visse per vent’anni nella dimora castellizia dove nacquero i suoi otto figli. Ma lei amava un altro uomo: un giovane di buone condizioni economiche, cugino del marito, e sprovvisto di titolo nobiliare: Ludovico Vernagallo.

        La seconda ipotesi, ritenuta più esatta, declina diversamente il delitto. Insieme al consorte, il padre la sorprende in compagnia dell’amante, e li uccide per salvare l’onorabilità della famiglia. 

        Secondo la tradizione la baronessa, colpita al petto si toccò la ferita e, appoggiandosi al muro con la mano, vi lasciò un’impronta insanguinata. Si narra che in occasione dell’anniversario del delitto comparirebbe, su un muro della stanza dove venne uccisa la baronessa Laura, l’impronta della mano insanguinata lasciata da lei.

Illustrazione del cantastorie Giovanni Virgadavola (1940-2022).

        Ecco la versione poetica più nota, nel cui incipit la Sicilia intera è chiamata a piangere per il luttuoso evento espresso con tono declamatorio di forte tensione:

Chianci Palermu, chianci Siracusa
a Carini c’è lu luttu in ogni casa.
Attorno a lu Casteddu di Carini,
ci passa e spassa nu beddu cavaleri.
Lu Vernagallu di sangu gintili
ca di la giuvintù l’onuri teni.
“Amuri chi mi teni a tu’ cumanni,
unni mi porti, duci amuri, unni?

(Piange Palermo, piange Siracusa
a Carini c’è il lutto in ogni casa.
Attorno al castello di Carini
passa e ripassa un bel cavaliere,
il Vernagallo di sangue nobile
che della gioventù l’onore tiene.
Amore che mi tieni al tuo comando,
dove mi porti, dolce amore, dove?”)

Vidu viniri ‘na cavallaria.
Chistu è me patri chi veni pi mmia,
tuttu vistutu alla cavallarizza.
Chistu è me patri chi mi veni a ‘mmazza.
“Signuri patri, chi vinisti a fari?”
“Signora figghia, vi vegnu a ‘mmazzari”.

(Vedo arrivare uomini a cavallo.
Questo è mio padre che viene per me,
tutto vestito da cavaliere.
Questo è mio padre che viene ad ammazzarmi
“Signor padre, perché siete venuto?”
Signora figlia, vengo per uccidervi”)

 

Laura Lanza di Trabia, Baronessa di Carini, in una classico ritratto.

Lu primu corpu la donna cadiu,
l’appressu corpu la donna muriu.
Nu corpu a lu cori, nu corpu ‘ntra li rini,
povira Barunissa di Carini».

(Al primo colpo la donna cadde,
al colpo seguente la donna morì.
Un colpo al cuore, un colpo al fianco
povera baronessa di Carini).

        La canzone si chiude con la presa di coscienza del padre che ha paura del proprio delitto. Ma la vendetta di Dio è inesorabile. Sangue chiama sangue. Il cantastorie, chiudendo la narrazione poetica con toni da tragedia greca, proclama maledizioni alle generazioni future che pagheranno il debito:

Lu sacrilegiu de l’impiu baruni
tutti li rami sui lu chiancirannu.
Lu chiancirannu, pinsàti, pinsàti,
cu’ fa lu mali cu’ l’occhi cicati.
E ‘ntra la casa sua unuri ‘nsenti,
e la manu di Ddiu calcula nenti.
Cala, manu di Ddìu ca tantu pisi,
cala, manu di Ddìu, fatti palisi!”.

(Il sacrilegio dell’empio barone
tutti i suoi discendenti lo piangeranno.
Lo piangeranno, pensate, pensate,
ché chi fa il male ha gli occhi ciechi.
E nella casa sua non c’è onore,
egli non ha rispetto della mano di Dio.
Cala, mano di Dio, tu che tanto pesi,
cala mano di Dio, fatti palese).

        Questo ora l’interrogativo: storia o fatto romanzato? Quanto alla verità storica dell’omicidio della baronessa di Carini, Leonardo Sciascia, dopo avere accennato al ritrovamento casuale di un documento nell’Archivio Storico Nazionale Nazionale di Madrid2, segnala quello “ancora più preciso” trovato da Adelaide Baviera Albanese, direttrice dell’Archivio di Stato di Palermo3, che drammaticamente attesta l’avvenuto delitto per mano del padre. Da qui lo scrittore di Racalmuto ha immaginato lo svolgimento del fatto nello scritto Il caso della baronessa di Carini, incluso nell’opera La corda pazza (Einaudi, 1970), ricostruendolo con l’assoluta perizia dell’investigatore: 

        “Don Vincenzo avrà sospettato o saputo la tresca della moglie, ne avrà parlato al suocero. Don Cesare probabilmente si sarà mostrato incredulo; e il La Grua si sarà dato a tessere l’agguato, a fornirgli la prova. Ed ecco che riesce a chiudere gli amanti in camera: e manda a chiamare don Cesare. Questi arriva, seguito da una mano di armati: e passionale e violento qual era, con tanta più collera quanto poco aveva creduto al tradimento della figlia, irrompe nella camera a vendicare, ad uccidere.  Non da solo, forse: ché il Vernagallo avrebbe potuto difendersi; ma ci riesce difficile immaginare don Vincenzo al suo fianco. Comunque, per le leggi d’allora era opportuno lasciare intendere che don Cesare avesse ucciso la figlia, e don Vincenzo l’amante della moglie. O forse c’è stata una accurata premeditazione da parte di entrambi, il genero già da prima in accordo col suocero a stabilire le modalità dell’agguato e della vendetta. Ma questo nessun documento potrà mai dircelo”. 

        Non solo. Dal punto di vista filologico Sciascia ritiene che alla base delle poesie popolari sull’argomento o delle varianti debba esserci un testo primigenio scritto da un poeta colto e di eccezionale sensibilità: “E l’errore del Salomone Marino è stato molto probabilmente quello di cercarlo nella memoria del popolo, mentre più fondatamente avrebbe dovuto cercarlo tra i manoscritti delle biblioteche”.

Federico Guastella

Ragusa, 25 gennaio 2025

Note:

  1. Furono pubblicate a Palermo da Aurelio Rigoli nel 1963 nell’opera Le varianti della << Barunissa di Carini>> raccolte da Salvatore Salomone-Marino. La ballata, che di piazza in piazza veniva cantata dai cantastorie (tra cui la magnifica voce di Otello Profazio), ispirò due sceneggiati televisivi del 1975 e del 2007.
  2. “E venne fuori, questo documento (…). Casualmente, a quanto pare. Lo trovò Gaetano Catalano nell’Archivio Storico Nazionale di Madrid: ed era in un registro di protocollo. Il Catalano lo comunicò ad Antonio Pagliaro, e questi lo pubblicò in nota a un suo saggio la cui validità, dopo il lavoro del Rigoli, resta un po’ dubbia”,  in La baronessa di Carini nell’opera La corda pazza (1970); ancor prima in Nuovo Mezzogiorno,VII (1964).

  3. Lo pubblicò nel numero 8 (ottobre-dicembre 1964) dei << Nuovi quaderni del meridione >> editi dalla Fondazione Mormino. E c’è da dire che il Dizionario biografico degli Italiani, alla voce Baronessa di Carini curata da Zamperi, tra le varie fonti fa in primo luogo riferimento al documento inedito conservato nell’Archivo General de Simancas, Segretarias provinciales, Sicilia, leg. 980: il <<più importante sull’assassinio della baronessa>> che contiene una relazione assai dettagliata delle autorità siciliane fondata su informazioni di prima mano.

N.d.R.: La ballata cantata dal cantastorie Otello Profazio è disponibile su You Tube a questo link.

Il presente articolo è tratto per gentile concessione dell’Autore dal volume “La Sicilia. Luoghi e scrittura”, Gruppo editoriale Bonanno, s.r.l. Acireale-Roma, 2024

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