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Karl Marx (1818 - 1883)

 

 

 

 

 

 

 Liberiamo Marx dai silenzi!

di Federico Guastella 

Leggendo il titolo del libro di Diego Fusaro "Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario" (Milano, Bompiani 2009), almeno una domanda è inevitabile che sorga: quale senso dare alla riproposizione di Marx, ove si considerino le ideologie e le politiche nefaste che hanno distinto la storia del Novecento? In altri termini, nell’attuale contesto societario, per moltissimi aspetti diverso da quello dell’Ottocento, cosa ancora può dirci Marx? E’ in fondo questo il medesimo interrogativo del nostro giovane studioso al quale egli così risponde alla fine del suo accurato itinerario di ricerca: Marx può ancora dare voce alla sensazione diffusissima che il nostro mondo (sempre più presentato come intrascendibile, in una inquietante desertificazione dell’avvenire), dopo tutto, qualcosa continua a mancare. Come è stato scritto, “quelli di Marx restano gli strumenti più acuti per criticare la società esistente e le sue contraddizioni: fin tanto che ci saranno sfruttamento e schiavitù, lo spettro di Marx continuerà ad agitarsi per il mondo (p. 309). Fusaro, servendosi del romanzo di Juan Goytisolo Karl Marx show, facilita così al lettore il compito di decifrare le storture e le forme precarie della società in cui oggi si vive: quello di “immaginare un Marx redivivo che assiste impotente alle disavventure del presente – dallo sbarco di clandestini sulle coste pugliesi al lavoro schiavile dei bambini – vedendo il suo “sogno di una cosa” mandato in frantumi dalla storia e dalle sue “dure repliche (p.19)”. Le condizioni di alienazione che l’avevano ossessionato permangono, e forse se ne sta perdendo la piena consapevolezza: “il capitale si fa sempre più invisibile e impalpabile anche nella vita di ciascun individuo”.

Certamente il capitalismo non è stato soltanto un male; ha segnato, anzi, un reale progresso rispetto allo stato feudale, universalizzando la produzione e il mercato. In questo senso – commenta il nostro studioso – ha posto le basi per un’effettiva civilizzazione dell’umanità, creando possibilità di sviluppi ulteriori (p.289). A Fusaro, comunque, non passano inosservate né le contraddizioni in atto del sistema né i tanti problemi nel quadro delle società comunisticamente strutturate. Anche il fallimento delle profezie di Marx è preso da lui in esame, ma egli puntualizza che restano valide e attualissime le sue denunce radicali del “sistema”.

Ripercorrendo ora il corpo sostanzioso della sua imponente ricerca, possiamo dire che il discorso sul feticismo delle merci (pp. 262-277) è senza dubbio uno degli assi portanti dell’attualità marxiana in cui si colloca la contrapposizione delle classi sociali. Interessante appare anche la definizione data da Fusaro al concetto di “classe”, in considerazione che il pensatore di Treviri non tenta neanche una volta di definirlo. Ricavandola dagli scritti marxiani, egli così la espone: “…, un gruppo di individui che sono portatori di interessi socio-economici comuni e che sono potenzialmente in grado di acquistare coscienza di sé quali membri di una classe”. Una classe, dunque, contrapposta all’altra è la molla del movimento storico, assunto nella concezione “materialistica della storia” che consente di descrivere le leggi dell’economia: quelle leggi specifiche, che oltre a determinare in un certo senso la volontà, la coscienza, le intenzioni degli uomini, regolano la nascita, a partire dall’accumulazione primitiva (dalla differenza sessuale alla società schiavistica prima e a quella feudale dopo), l’esistenza, lo sviluppo e l’estinzione di un dato organismo sociale, sostituito poi da un altro di livello superiore (pp.107-153). A questo punto s’inquadra l’analisi particolareggiata sulla teoria del valore (pp. 227-261) che pone in rilievo come il plusvalore (“tempo di lavoro non pagato”) rende possibile la valorizzazione del “capitale per il capitalista”.

Diego Fusaro

Marx, partendo dalle sue analisi economicistiche nell’ambito della “rottura epistemologica” attinente al rovesciamento della dialettica hegeliana (in Hegel il pensiero è il demiurgo del reale; per il pensatore di Treviri il cominciamento è dato dall’elemento materiale in cui si realizza la sintesi di teoria e prassi), non giunge poi alla configurazione di caratteri ben precisi relativi alla società comunista. Fusaro scrive che egli si limita, evitando di cadere nell’idea di un livellamento come conseguenza di una malintesa distribuzione dei beni, a tre affermazioni facenti leva, in sintesi, sul controllo della produzione, sullo sviluppo delle individualità e dell’uomo onnilaterale, nonché sull’estinzione dello Stato. Il suo commento, che scaturisce da una puntuale documentazione, è abbastanza chiaro: “Con il comunismo lo Stato verrebbe “tolto” in quanto strumento di oppressione di classe e “realizzato in quanto strumento finalizzato alla realizzazione di scopi effettivamente universali”.

Dunque: un pensiero, incompiuto e aperto, quello di Marx. Chi ha pensato, o chi pensa, di dedurne una società già confezionata non l’ha capito. Mi sembra questo il punto fondamentale della rilettura delle opere di Marx fatta da Fusaro. Lettura autentica, la sua, liberata da tutti i diversi silenzi e dal disprezzo profondo degli umani diritti che si è attuato, utilizzandone le idee nel peggiore dei modi possibili. Lettura, altresì, ancorata a visione della storia in chiave teleologica, futurocentrica, pervasa di speranza messianica, tipica del “regno della libertà”. In tale prospettiva (non falsificabile secondo la diagnosi di Popper, in quanto irriducibile a teoria scientifica), rispetto alla visione di Althusser, “problematica e aporetica”, a Fusaro appare più aderente alla realtà storica il pensiero di Ernst Block. Per il filosofo di Tubinga, la vera anima del pensiero di Marx, dalla gioventù alla maturità, è infatti la speranza, “mediata da ciò che è realmente possibile” e intesa come proiezione nell’ulteriorità, come aspetto essenziale del “non ancora”. Per il filosofo di Tubinga – scrive Fusaro –  essa sta in stretto rapporto “tra lo spirito dell’utopia sociale rivoluzionaria cristiana e il pensiero messianico - utopico di Marx (p.292), in quanto l’uomo, potremmo dire, è una realtà molto complessa di cui la religione non è alienazione.

In sostanza, vuole dire Fusaro che Marx va riletto e compreso allo scopo di rifluidificarlo senza il marxismo. Ciò è importantissimo, anche se la rivisitazione che se ne deve fare sembra ostacolata da molteplici fattori. Il determinismo “crisi” – crollo” del capitalismo, rivelandosi utopistico, non si è realizzato e lo stesso nome di Marx è rimasto collegato con le pesanti e drammatiche eredità delle società comuniste. Il suo spettro inoltre viene falsamente evocato per impaurire, mentre non mancano posizioni di retroguardia tali da rallentare la costruzione di percorsi unitari. E si ha pure l’impressione di inibizioni culturali per un serio approfondimento come se si volessero occultare le colpe storiche. Sul piano effettuale la transizione, è noto, è avvenuta “dal capitalismo ad un altro capitalismo” con l’esito di staccare l’economia finanziaria da quella reale, mentre la stessa classe operaia si è rivelata “uno dei gruppi sociali più facilmente integrabili tramite il consumismo e il feticismo delle merci (p. 312)”.

Nell’ambito di questo processo di destrutturazione, c’è ancora spazio di operatività per  quell’idea antropologica che punta al “soggetto” al fine di liberarlo da ogni sorta di alienazione economica ed interiore? La rigorosa ricostruzione di Fusaro, fatta in autonomia, con profonda attenzione all’ermeneutica e senza lenti riduttive, a questo punto termina con l’ultimo capitolo intitolato “Le avventure del materialismo storico: Marx nel Novecento”.

L’indagine culturale, potremmo dire, cede il passo alla politica, auspicando che possa farsi centro di elaborazione progettuale con strategie di alleanze aperte.       

Federico Guastella

Maggio 2010

 

 

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011