La retta visione nel Master Tarot

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La retta visione nel Master Tarot

 di Dario Distefano

Tu dici che vedrai un giorno Dio e la sua luce?

Stolto, non lo vedrai mai, se non lo vedi già ora!

(A. Silesius)

 

 

La prima delle otto vie fondamentali del Nobile ottuplice sentiero è la Retta Visione per cui si contempla la realtà così com'è, senza inquinarla coi propri complessi inconsci, abitudini inveterate, pregiudizi, ripugnanze innate, limitazioni caratteriali, memoria automatica ecc.

Le altre vie sono: retto pensiero, retta parola o retto modo di parlare, retta azione o karma, retto comportamento o modo di guadagnarsi la vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione o samadhi.

Secondo un moderno maestro occidentale, qui l’aggettivo retto non è usato come contrapposto a sbagliato, secondo il comune modo di pensare dualistico, ma si potrebbe tradurre come “non”, non concetto, non visione. “Eliminando tutti i concetti, si ottiene la retta visione. Procedendo di un passo si elimina anche la non visione.” (Bernie Glassman, “Cerchio Infinito” p. 57, Oscar Mondatori).

Giocando con il Master Tarot di Prembodhi Mario Montano vi sono alcune carte, tra gli arcani maggiori e minori, che mi hanno portato a pensare alla Retta Visione.

Ma cos’è il Master Tarot? È un nuovissimo mazzo di tarocchi, edito nel 1996 da Urania Verlag, ideato da Prembodhi Mario Montano e disegnato da Amerigo Folchi. L’autore Prembodhi Mario Montano è un maestro di tarocchi; sul suo “Il Tarocco Intuitivo”, gloriosa edizione di Re Nudo degli anni ’70, si era formata una nuova leva di tarocchisti, tra cui il sottoscritto, attratti dal fascino di questa antica “macchina per immaginare”, dai coloratissimi tarocchi Rider-Waite e dagli insegnamenti di Osho.

Da quel primo libro, Prembodhi ha scritto altre opere sui tarocchi fino a quest’ultima creazione che, come diceva ad un seminario di presentazione di qualche anno fa, è nata dall’invito ad andare alle radici delle proprie tradizioni culturali e spirituali. Così la figura del Maestro intorno a cui è costruito questo mazzo di tarocchi e le storie, i detti e le parabole che costituiscono la sua struttura portante, sono il Maestro Gesù e le storie narrate dai vangeli, non solo quelli canonici ma anche quelli cosiddetti apocrifi.

Dice l’autore nell’introduzione al Master Tarot che “questo lavoro è il frutto dell’amore per il Maestro Gesù, non un saggio sul Cristianesimo o lo Gnosticismo o qualunque altra religione… In realtà, pur amando molti Maestri non apparteniamo a nessuna religione… Perché la nostra è una ricerca spirituale: non ci interessano i dogmi e i precetti… vogliamo che siano consapevolezza e saggezza a guidarci… Questo è un gioco per tutti coloro che vogliono percorrere la via spirituale, che vedono la vita stessa come un viaggio spirituale, un’avventura della coscienza e una grande chance… non consideriamo Gesù come il fondatore di una religione, ma un Maestro spirituale.” (Prembodhi: Introduzione al Libretto di istruzione per il gioco, p. 2).

Le carte che ho scelto per questo via della Retta Visione sono gli Arcani minori n. 9 (la pagliuzza e la trave), n. 29 (ciechi), n. 33 (stai sveglio), la figura della Veggente e l’Arcano Maggiore n. X il Miracolo.

 

PRIMO PASSO

“Vedete la pagliuzza nell’occhio del fratello ma non la trave nel vostro. Quando vi sarete tolti la trave dagli occhi allora sarete in grado di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello” (Tommaso, 26).

 

I concetti sono quelli che distolgono la Retta Visione, i pre-giudizi, i pre-concetti, le idee pre-formate. Tutti guardiamo il mondo attraverso queste lenti deformanti ma non ce ne accorgiamo. Siamo però molto bravi a vedere le lenti, anche piccole, negli occhi degli altri. I nostri concetti, i nostri giudizi sono quelli giusti, quelli veri, quelli saggi; poverino il vicino o il fratello che è costretto a guardare con quella pagliuzza che lo disturba e gli deforma la vista.

Ma “quando vi sarete tolti la trave dagli occhi allora sarete in grado di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello” perché quando cominciamo a vedere rettamente, cioè a vedere eliminando tutti i concetti, aiutiamo tutti coloro che ci sono vicini: fino a quando, però, non vedremo quanto grande sia la trave che ci portiamo dentro l’occhio e in che modo deformato guardiamo il mondo e gli altri, continueremo a sproloquiare di giusto e sbagliato, bianco e nero, morale e non morale e tutti i difetti li vedremo nell’occhio del nostro fratello.

Il sesto patriarca disse: - Io vedo e non vedo -. Allora Shen-hui chiese: - Maestro, cosa significa “vedere” e “non vedere”? – Il maestro disse: - Io vedo. Vedo sempre le mie trasgressioni e i miei difetti. Per questo dico che vedo. Non vedo. Nel mondo non vedo le trasgressioni e le colpe degli altri. Per questo vedo e non vedo -. (citato in "La Mente allo specchio", a cura di Leonardo Vittorio Arena, Oscar Mondatori, p.188).

 

 

SECONDO PASSO

“Se un cieco guida un cieco finiranno per cadere in un buco” (Tommaso, 34)

 

...e così procediamo a tentoni, nell’oscurità dei nostri occhi; ci affidiamo a guide cieche e ci facciamo guide cieche per gli altri. Non riusciamo a vedere il fosso in cui stiamo per cadere, trascinati dagli altri e, a nostra volta, trascinando altri. Non vediamo il fosso neanche quando ci siamo dentro e scambiamo quel buco per il mondo, come quei ciechi che un re aveva portato al cospetto di un elefante invitandoli a toccarlo per capire cosa fosse e ognuno, in base alla parte che aveva toccato diceva: è questo, no è quello, no non è così ma così.

Eppure, la condizione di essere ciechi forse è un passo avanti rispetto alla trave nell’occhio; è il passo necessario per renderci conto che siamo davvero al buio.

 

TERZO PASSO

“State svegli e pregate perché non sapete quando arriverà il momento… State svegli dunque perché non sapete quando il padrone tornerà, all’imbrunire, a mezzanotte, al cantar del gallo o alla mattina – che non arrivi all’improvviso e vi trovi a dormire. E quel che dico a voi dico a tutti: state svegli.”   (Marco 13,33-37)

Gli occhi ben aperti guardano la luce di una singola candela bianca: siamo nella fase della concentrazione. Dobbiamo poter vedere una singola luce prima di potere risvegliare la Retta Visione. In tutti i momenti della giornata siamo focalizzati su un singolo punto luminoso e siamo in attesa del Maestro che non sappiamo quando arriverà. Ora ci rendiamo conto dell’oscurità in cui eravamo ma siamo ancora dipendenti e in attesa di qualcosa di esterno, la candela o il Maestro, per poter vedere.

“Miei eccellenti amici! In che senso la saggezza e la concentrazione sono simili? Ve lo spiegherò attraverso l’esempio della lampada e della luce. C’è la lampada e c’è la luce. Se non c’è la lampada, non c’è neanche la luce. La lampada è l’essenza della luce. La luce è la funzione della lampada. Benché si usino due termini, cioè “lampada” e “luce”, l’essenza di entrambi è unica. Per quanto riguarda la dottrina della saggezza e della concentrazione, le cose stanno allo stesso modo”. (op. cit. p. 178).

 

 

QUARTO PASSO

La Veggente: una donna dalla lunga chioma ha gli occhi ben aperti che sembrano vedere oltre, al di là. Due figure umane sembrano inginocchiate davanti a lei e le tendono le mani. È la fase del risveglio dei poteri psichici, la fase in cui “le montagne non sono viste più come montagne e i fiumi non sono visti più come fiumi”.

 

È un momento molto avanzato, ma forse anche pericoloso: Il cielo stellato ci ricorda che le stelle sono sempre lì, basta alzare gli occhi e guardarle.

La luce lontanissima delle stelle è anche la luce che portiamo dentro di noi e che è possibile vedere in certi momenti.

Siamo alla ricerca di una visione, o forse l’abbiamo anche avuta, ma non è ancora la “retta visione”; se non ci intrappoliamo nella ricerca degli effetti speciali anche l’ultimo velo sta per cadere, stiamo per “trapassare ogni visione / per scorgere il vuoto. (Tao per un anno n. 135).

 

PAUSA

 

Un po’ di “parole velenose per il cuore”.

Nel commento al Sutra del Cuore del maestro zen Hakuin leggiamo: 

 Egli vede chiaramente

Un invincibile Occhio di Diamante, immune anche dalla polvere più sottile. Però, non va mica a sbatter le palpebre sopra un letto di polvere volatile. E comunque, dove avverrebbe questo ‘vedere’? La terra intera è l’occhio di un monaco buddista. È tutto esattamente come ha detto Hsuansha…

Un moscerino fa girare un mulino nell’occhio di un insetto,

Un germe tesse la sua tela nell’orecchio di un pidocchio,

Il paradiso Tushita, il mondo umano, i gironi dell’inferno,

Tutto chiaro, come un mango nel palmo della mano.

(Hakuin “Veleno per il cuore” p. 46, Ubaldini)

 

QUINTO PASSO

"E passando vide un uomo cieco dalla nascita. I suoi discepoli lo interrogarono dicendo: 'Rabbi, chi ha peccato, questi o i suoi genitori, perché nascesse cieco?' Rispose Gesù: 'Né costui né i suoi genitori hanno peccato, ma affinché le opere di Dio si manifestassero in lui…' Detto questo, sputò in terra, fece del fango con lo sputo e pose il fango sugli occhi di lui, poi gli disse: 'Va’, lavati nella piscina di Siloe, che significa Inviato.' Egli dunque andò, si lavò e ritornò che vedeva."                   (Giovanni 9, 1-7).

 

Siamo arrivati all’ultimo passo di questo percorso dentro la Retta Visione, siamo all’Arcano Maggiore n. X di questo Master’s Tarot che si chiama Il MIracolo e che si rifà a questo passo di Giovanni.

È un passo molto profondo, come del resto tutto il Vangelo di Giovanni, che andrebbe letto più volte e ogni volta con occhi diversi, liberi dalle interpretazioni dottrinali, dagli occhiali del dogma o del rifiuto del dogma.

La prima cosa che i discepoli chiedono è: “chi ha peccato? di chi è la colpa? dei genitori o sua?".

Ora, se per gli ebrei era opinione diffusa che la malattia potesse essere una pena per i peccati commessi dai propri antenati fino alla terza o quarta generazione, come potrebbe essere stata una punizione per i peccati commessi da lui stesso che era cieco dalla nascita. Quando avrebbe dovuto commettere questo peccato? Da ciò, qualcuno ne fa discendere l’ipotesi che per i discepoli di Gesù e forse anche per altre sette ebraiche la dottrina della reincarnazione non fosse né sconosciuta né scandalosa o eretica.

Però, in questa occasione il Maestro taglia nettamente con le supposizioni o con le speculazioni: “Né costui né i suoi genitori hanno peccato, ma affinché le opere di Dio si manifestassero in lui…”

Che significa? Cosa ci vuol dire il Maestro? a noi che siamo così bravi a spostare le responsabilità sugli altri: i nostri genitori, gli avi, l’ambiente, le circostanze o, per chi crede nella reincarnazione, colpe commesse in qualche altra vita di cui non ricordiamo niente e di cui non ci sentiamo responsabili. Ma il Maestro ci invita ad aprire gli occhi proprio ora, qui, in questo momento, senza tenere conto del peccato, di chi ha peccato e quando.

Allora si possono manifestare, in ciascuno di noi, le opere di Dio nel senso, credo, del disvelarsi della cosa in sé, proprio quella e nel manifestarsi di una totalità molto più grande e vasta del nostro piccolo io e delle nostre colpe o peccati individuali.

Questo processo di “apertura della vista” avviene attraverso la saliva e la terra mescolate insieme a formare fango. Saliva, terra, fango, assolutamente niente di speciale; è la nostra vita stessa in tutta la sua umiltà e ordinarietà ad essere un miracolo e capace di produrre miracoli.

Allora gli occhi si aprono veramente e finalmente possiamo vedere le montagne come montagne, e i fiumi come fiumi, e i fiori come fiori, e la luce come luce, e il buio come buio e ogni cosa nel suo essere proprio così come è.

Come dice il maestro Lin Chi (Rinzai): “Agite semplicemente senza mai interrompervi, e tutto ciò che entra in contatto con i vostri occhi sarà giusto…” e più avanti: “Il vero Uomo della Via… accordandosi semplicemente con le circostanze così come sono egli si serve del proprio karma passato; accettando le cose così come vengono indossa le sue vesti; quando vuole camminare cammina, quando vuole sedere si siede; non pensa mai neppure un istante a ricercare la buddhità.” (La Raccolta di Lin Chi, p. 19 e 20, Ubaldini).

Alla fine nel passo raccontato da Giovanni, alcuni farisei chiedono a Gesù: “Che forse siamo ciechi anche noi?” Disse loro Gesù: “Se foste ciechi, non avreste colpa. Invece voi dite: Noi vediamo. La vostra colpa rimane.” (Giovanni 9,41).

Abbiate cura di voi.

 

Dario Distefano

 

 

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011