Gli avvenimenti degli ultimi anni (situazione irachena, black-out
elettrico) e le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e dei
rappresentanti dei paesi industrializzati, che hanno ventilato un
possibile ritorno ad investire nell’energia nucleare, hanno riacceso
l’interesse intorno a questo tema. Ricordiamo che questa tecnologia era
stata abbandonata dall’Italia in seguito al referendum popolare del
1987, che ne aveva chiesto la non utilizzazione. Può quindi essere utile
fare il punto della situazione.
Sia l’energia ottenuta dalla
combustione dei prodotti petroliferi, che l’energia nucleare, vengono
utilizzate nelle centrali elettriche per far evaporare le masse d’acqua
necessarie al movimento delle turbine che, collegate ad un alternatore,
producono energia elettrica. Quindi non è la tecnologia di produzione
dell’energia elettrica a cambiare, ma quella della produzione del vapore
necessario.
La combustione dei prodotti
petroliferi non presenta rischi ma provoca l’emissione di sostanze
nocive (anche se i sistemi di abbattimento dei fumi oggi utilizzati
minimizzano tali emissioni) e di rilevanti quantità di anidride
carbonica, principale responsabile dell’effetto serra e non eliminabile.
Altre considerazioni da fare sono di ordine politico: le principali fonti
di idrocarburi si trovano in territori non direttamente controllati
dall’occidente industrializzato (Paesi arabi, Venezuela, Russia) con
conseguenti possibili problemi di approvvigionamento nel caso di
instabilità dei governi di questi paesi.
Ed eccoci all’energia nucleare! Esistono due possibili modi di
produrla: la fusione (due nuclei leggeri, per esempio di idrogeno, si
fondono per formarne uno più pesante, l’elio nel caso dei due nuclei di
idrogeno, liberando energia termica) e la fissione. La fusione non è
tecnologicamente sfruttabile (almeno al momento) mentre la fissione
è, per l’appunto, la tecnologia oggi disponibile.
Durante
la fissione un atomo di uranio viene colpito da un neutrone, che provoca
una reazione nucleare con la conseguente frantumazione dell’uranio in
due atomi di elementi più piccoli e l’emissione di altri neutroni,
oltre ad una certa quantità di energia termica.

I neutroni emessi colpiranno altri atomi di uranio
dando luogo alla cosiddetta “reazione a catena”; se la reazione a
catena non viene controllata si ha un’esplosione nucleare (la bomba
atomica). Occorre quindi moderare la produzione di neutroni per
controllare il numero di atomi di uranio che reagiscono; questo avviene
tramite barre di grafite, chiamate barre di controllo. Il “nocciolo”
è la zona del reattore nucleare dove avviene la reazione a catena; nei
moderni impianti viene immerso nel sodio liquido per diminuire il rischio
di incidenti.

Reattore
nucleare
Quali
vantaggi e svantaggi dall’uso del nucleare? Gli svantaggi sono,
purtroppo, ancora molti:
Ø
Seri danni in caso di
incidenti; durante la fissione si libera una notevole quantità di
radioattività e di elementi radioattivi che, in caso di incidente grave,
possono venire rilasciati nell’atmosfera e nell’ambiente (come è
accaduto a metà degli anni 80 a Chernobyl) con la contaminazione radioattiva di terreni,
alimenti e delle stesse popolazioni esposte alle radiazioni.
Ø
I prodotti della
fissione, gli atomi risultanti dalla frantumazione dell’uranio (le
cosiddette “scorie radioattive”), mantengono la loro radioattività
per migliaia di anni; immagazzinarle in modo sicuro rappresenta oggi il
principale problema irrisolto legato al nucleare.
Ø
Il trasporto delle
scorie e del materiale nucleare sono altri punti deboli, sia per la
possibilità di incidenti che per eventuali atti terroristici.
Ø
I costi non sono
inferiori a quelli delle centrali termoelettriche, anzi risultano
superiori se si tiene conto delle opere di bonifica del territorio e di
smantellamento della centrale nucleare, una volta terminata la sua attività
(non più di 25 anni).
I vantaggi sono
essenzialmente di duplice natura:
Ø
Non si ha emissione di
anidride carbonica (CO2) ed altri inquinanti atmosferici.
Ø
Non si dipende da paesi
ad elevata instabilità politica per l’approvvigionamento dell’uranio.
Per quanto riguarda l’Italia, è vero che diminuirebbe l’importazione
del petrolio, ma ci sarebbe un aumento dei costi, per la gestione delle
centrali, che vanificherebbe il risparmio economico ottenuto.
Ed allora perché non ricorrere
alle sempre sognate e mai realizzate energie rinnovabili? La cosiddetta
energia “pulita” si basa essenzialmente sulle seguenti fonti:
idroelettrico, eolico, solare, geotermico, biomassa. La quasi totalità di
energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili è generata da impianti
idroelettrici (82,5%) e solo il 7% proviene da fonti rinnovabili non
tradizionali (eolico, biomasse e rifiuti, fotovoltaico); l’uso delle
fonti rinnovabili ha anche un peso sulla produzione di energia per
riscaldamento; tenendo conto anche di quest’uso le biomasse ed i rifiuti
solidi urbani (RSU) assumono un peso elevato (fino al 36%), ma la porzione
a carico del solare (+ l’eolico) scende addirittura al 2%! (i dati
utilizzati sono tratti dall’”Osservatorio delle fonti rinnovabili in
Italia – 2004”, a cura di ISES Italia).
Di tutte queste fonti non
tradizionali (eolico, fotovoltaico, biomasse; idroelettrico e geotermico
sono considerati tradizionali) l’energia eolica è quella che ha segnato
una crescita tecnologica maggiore con un conseguente aumento della potenza
installata; il dato più significativo è l’evoluzione degli
aerogeneratori, sia per potenza, che per affidabilità ed efficienza.

Anche i generatori eolici hanno, però, una ricaduta negativa
sull’ambiente, in quanto alterano in maniera sostanziale il paesaggio;
questo, in un paese come l’Italia dove il paesaggio rappresenta un
valore aggiunto rilevante, provoca resistenze e perplessità sulla loro
diffusione.
L’energia
solare da trasformare in elettricità (solare fotovoltaico) non ha
registrato una crescita sostanziale negli ultimi anni e non è prevedibile
un suo sviluppo nel breve termine, dato l’alto costo e le grandi
estensioni di territorio necessarie per gli impianti. In realtà sia
l’eolico che il solare (soprattutto il solare termico, cioè per il
riscaldamento di acqua) avrebbero ottime prospettive se si passasse da una
visione impiantistica centralizzata (grandi impianti per la distribuzione
di energia elettrica) ad una per abitazioni isolate. Va sottolineata,
infatti, l’urbanizzazione diffusa del territorio italiano, che favorisce
interventi individuali. Ed in effetti vi è un leggero aumento
nell’installazione di impianti solari da riscaldamento, anche grazie
agli incentivi promossi da Ministero dell’Ambiente e Regioni.
Ultima
voce tra le fonti rinnovabili è l’uso delle biomasse (legna ed
assimilati, RSU); in particolare gli impianti che utilizzano rifiuti
solidi organici per la produzione di energia elettrica hanno, ed avranno,
uno sviluppo crescente:
Per
quanto riguarda i consumi di legna da ardere per abitazione, va
evidenziato il basso livello tecnologico e la scarsa efficienza dei
dispositivi utilizzati (quasi esclusivamente caminetti e stufe di stampo
classico); per cui a fronte di consumi di un certo peso (si stimano circa
16 milioni di tonnellate/anno di legna) si hanno risultati, in termini di
produzione di calore, scadenti.
Non è stato citato
l’idrogeno…perché le tecnologie relative al suo uso sono ancora a
livello sperimentale. Forse solo tra qualche decina d’anni se ne potrà
parlare in termini realmente applicativi.
E allora che fare per avere
elettricità e calore? I derivati del petrolio contribuiscono
all’effetto serra, il nucleare non è sicuro e produce scorie altamente
radioattive, le fonti rinnovabili non sono al momento economicamente
competitive; l’unica via appare un uso razionale dell’energia,
sviluppando rapidamente l’utilizzazione delle fonti alternative a
livello di singole abitazioni e abbassando drasticamente i consumi; solo
così si potrà sviluppare una cultura compatibile con la carenza di
risorse tradizionali.
Cosimo
Alberto Russo
Aprile
2005
Musica in sottofondo: "Radioactivity",
dei Kraftwerk.