pane
e fiore / Nun va goldun
di
Mohsen Makhmalbaf
(Iran/Francia,
1996, 78’)
Il
pane serve a nascondere un coltello. E il coltello a ferire un poliziotto,
per rubargli la pistola d’ordinanza. La pistola serve ad insorgere e
ribellarsi.
La differenza
sostanziale tra arte epica e arte drammatica è nel modo in cui si esprime
il conflitto: nell’epica il conflitto viene raccontato, mentre
nell’arte drammatica si mette in scena, lo si realizza. Il conflitto,
drammaticamente, prende forma e vive. Sembra quasi che ciò avvenga senza
un perfetto controllo (dell’autore, degli attori, del tecnico delle
luci, dell’impresario o capocomico) ed in parte è anche vero: il
conflitto da latente diventa patente e prende il sopravvento, diventa reale
e razionale.
Questo è il cinema di
Makhmalbaf, un gioco che prima nasconde e poi svela il conflitto, la
lotta, la rivoluzione, lo scontro di idee e di generazioni: «io recitavo
per la mia vita, recitavo per riprendermi la vita» piagnucola il
poliziotto trent’anni dopo. Troppo tardi per piagnucolare (mi viene in
mente The weeping song di di Nick Cave, che significa appunto “la
canzone piagnucolante”, usata magistralmente in uno strepitoso corto di
Wim Wenders, Arisha der Bär und der steinerne Ring): troppo tardi
per risolvere il conflitto e riappropriarsi della propria vita, troppo
tardi per conoscere, comprendere e poi accettare la verità.
Makhmalbaf ci mostra
una menzogna (il suo film), per rappresentare una verità (un fatto
realmente accaduto nella sua giovinezza), che racconta di una menzogna
(l’inganno della ragazza, che deve distrarre la guardia, per favorire
l’agguato), che dimostra una verità (il conflitto di idee tra
poliziotto e rivoluzionario, tra pace in armi e violenza disarmata, tra
chi avvolge un coltello nel pane e chi pensa di donare un fiore alla donna
amata).
«E raccontava storie
che da vere, raccontandole, diventano inventate, e da inventate, vere» (Il
barone rampante, Italo Calvino).
alessandro
de filippo
giugno
2005
adefi@tiscali.it