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"Forza dormiente": essere donna in Pakistan

di Emanuela Cascio Mariana*

    La festa dell’otto marzo, quest’anno a Baia Samuele (Scicli), ha regalato emozioni intense e profonde, nate dalla solidarietà e dal coraggio. Al convegno "Donne e Creatività, storie e culture per il III millennio", accanto ai rappresentanti delle più importanti associazioni per i diritti umani, come Amnesty International e Smileagain, la voce di Tehmina Durrani, considerata oggi la più grande scrittrice pakistana, ha lanciato all’Occidente un accorato appello ed insieme raccontato una "storia dimenticata".

    Ma andiamo con ordine. Tehmina Durrani fugge dal Pakistan, dove era moglie di un ricco e potente uomo politico e madre di cinque figli, per testimoniare al mondo la condizione di inferiorità e schiavitù in cui le donne, nel suo paese, sono costrette a vivere.

    Strumenti passivi di una società ancora, ostinatamente, feudale e patriarcale, il livello di evoluzione socio-culturale delle donne in Pakistan è bloccato al XIV secolo, quello degli uomini al XVIII.

    "Forza dormiente" Tehmina ha definito il mondo al femminile nella sua terra, ovvero soggetti che non hanno ancora raggiunto consapevolezza di sé e del proprio ruolo, non solo all’interno della società pakistana, ma nel mondo intero. Assenti dalla vita politica e soffocate da un prepotente potere "maschile", che spesso ricorre all’acidificazione per "punire l’arroganza di un rifiuto", le donne subiscono inermi le scelte di una società maschilista e violenta.

    A questo punto è necessario raccontare quella che ho definito "la storia dimenticata", o taciuta dagli uomini di religione e di stato, ma che Tehmina Durrani ha raccontato a tutti i partecipanti al convegno, confidando nell’imponente effetto mediatico del mondo occidentale, grazie al quale la "forza dormiente" delle donne pakistane potrebbe risvegliarsi e impadronirsi delle proprie identità rubate.

    E’ la storia di Agar, schiava egiziana di Sara, moglie di Abramo, da cui questi, all’età di 86 anni, ebbe un figlio chiamato Ismaele (Gn, 16,1-16). Da Ismaele, o Ismail, discendono le tribù dei beduini arabi. Ma Sara, timorosa che il figlio di una serva potesse spartirsi l’eredità con il proprio figlio Isacco, induce Abramo a cacciare Agar e il piccolo Ismail. Da quel momento Agar vagherà per il deserto di Bernabea, alla ricerca dell’acqua per il proprio bambino. Trovata la sorgente, Ismail vive e da lui ha origine il popolo arabo.

    Non occorre soffermarsi sul dato storico, relativo all’identità d’origine delle tre religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islamismo, testimoniate dalla figura del patriarca Abramo, ma più utile risulta descrivere la modalità di svolgimento del pellegrinaggio alla Mecca, uno dei cinque pilastri (arkān) della religione musulmana. Tehmina ha parlato di due fasi principali in cui il pellegrinaggio si scandisce: la prima è una corsa che i fedeli fanno tra le due alture che furono teatro della ricerca affannosa d’acqua di Agar; la seconda è un percorso circolare che abbraccia la Ka’ba e la tomba di Abramo, accanto alla quale c’è quella di Agar.

    La centralità della figura femminile, per la nascita del popolo musulmano e per il mantenimento del suo patrimonio spirituale è un dato indiscutibile. Tuttavia, la quasi totalità delle donne musulmane del Pakistan e di altri paesi lo ignorano, continuando a vivere nell’ombra, vittime silenziose e inconsapevoli di un sistema politico retrogrado e bigotto.

    Raccontiamoci la storia di Agar, diffondiamola, affinché la forza della comunicazione del mondo occidentale raggiunga il mondo orientale, restituendo alla "forza dormiente" delle donne la consapevolezza di essere soggetti attivi di una grande rivoluzione culturale, capace di offrire al mondo intero una nuova opportunità di convivenza pacifica.

Emanuela Cascio Mariana

 

* Docente di Filosofia presso un Istituto Superiore di Modica

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011