
Giordano Bruno (Nola, 1548-Roma 1600)
Helmstedt, Juleum - Bibliotheksaal, XVII sec. |
Un
piccolo con-tributo
a
Giordano Bruno
di
Annalivia Villa
“Forse con più timore voi pronunciate la
sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla”, queste
furono le parole minacciose rivolte al Santo Uffizio dal frate Giordano
Bruno alla fine della lettura della sentenza che lo avrebbe condannato a
morte sul rogo, pronunciata l’8 febbraio del 1600, di fronte al Tribunale
dell’Inquisizione presieduto dal cardinale Roberto Bellarmino in presenza
del pontefice Clemente VIII. |
L’esecuzione ebbe luogo pochi giorni dopo,
il 17 febbraio, in piazza Campo dè Fiori a Roma, tristemente famosa per
molte sentenze capitali che causavano notevole disturbo all’abitazione, di
poco lontana, dell’ambasciatore francese, il quale si lamentava spesso
dell’orrore e del puzzo di tali spettacoli.
La condanna del pensatore Giordano Bruno
arrivò dopo sette anni di carcere, alla fine di estenuanti interrogatori
accompagnati da tortura, che non fiaccarono e non portarono Bruno a
tradire ed ad abiurare la sua filosofia.
In tempi recenti, la Chiesa di Roma ha
riabilitato molti degli scienziati e pensatori del passato vittime del
Santo Uffizio ( Inquisizione).
Le scuse e la richiesta di perdono di
papa Giovanni Paolo II nei confronti di Galileo Galilei sono state
molto attese e toccanti, ma il pensiero di Giordano Bruno nelle
parole del segretario di Stato cardinal Sodano (Napoli 2000) è
rimasto ancora “una scelta intellettuale…incompatibile con la
dottrina cristiana”, anche se “le procedure” seguite
dall’Inquisizione per accertare l’eresia “non possono non costituire
oggi per la Chiesa motivo di rammarico”. Bruno, quindi, è fuori dal
corpo della Chiesa ed è interessante notare come l’inquisitore
gesuita, card. Roberto Bellarmino, che condusse il processo contro
il presunto eretico, invece, venne canonizzato nel 1930 dal papa Pio
XI e poi elevato a dottore della Chiesa (1931), da venerarsi come
patrono dei catechisti associato al suo motto che recita “ La mia
spada ha sottomesso i superbi”. |

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“Io ho nome Giordano
della famiglia dei Bruni, della città di Nola…”, ma cosa e chi questo
monaco nato nel 1548 minacciava con le sue parole e i suoi insegnamenti?
 |
Mago, ciarlatano, dotto filosofo,
conoscitore dell’anima della natura, esperto in mnemotecnica, queste
sono alcune delle contraddittorie definizioni che i contemporanei
danno di Bruno.
Accolto, scacciato o esaltato nelle
varie università d’Europa e dalle corti di Francia, Inghilterra e
Germania. |
Sicuramente la coscienza e la convinzione
di ciò in cui crede lo rendono arrogante, inviso ai letterati e filosofi;
ad Oxford, disputa con pedanti dottori in teologia e questi lo prendono
per matto, “egli intraprese” ricorda George Abbott “il tentativo…di far
star in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli
stanno fermi; mentre per la verità era piuttosto la sua testa a girare e
il suo cervello che non stava fermo”.

Rappresentazione tolemaica dell'Universo

La rivoluzione copernicana |
L’astronomo Copernico viene
salutato da Bruno come il liberatore dell’umanità (La cena delle
ceneri) e conseguentemente ne accetta la teoria del moto della
terra. Copernico, però, pur rovesciando lo schema dell’universo, ne
manteneva i suoi limiti e il suo essere finito; su questa teoria
delle stelle fisse il pensatore Bruno va oltre l’aspetto matematico;
infatti un conto è pensare alla infinità dell’universo come ipotesi
matematica, o come nozione che antiche cosmologie avevano elaborato,
e altro punto di vista, profondamente diverso, è pensarlo come
l’elemento corporeo in cui viviamo e che vive in noi.
L’opera di Bruno è quella di disporre
di un modello teorico dove nell’eliocentrismo copernicano si
abolissero le stelle fisse e si trasformasse questa pura possibilità
teorica in necessità metafisica.
Il moto della terra si giustifica,
secondo la filosofia naturale, con la vita universale e la morte
apparente delle cose. Tutto è vivo e si muove, quindi anche la
terra.
Se Dio, infinito, avesse creato un
universo finito, ciò costituirebbe un suo limite, perciò non solo
l’universo è infinito, ma è infinito anche il numero dei mondi che
lo popolano. |
Il mondo di Bruno è magicamente animato e
conserva un rapporto strettissimo con la divinità; Dio è nelle cose, non è
essenza che agisce dall’alto. Dio non è scomparso, ma si è trasferito nel
mondo: per questo fisica e metafisica per Bruno sono una sola cosa e
l’universo acquista tutti gli attributi fino ad allora riservati ai
paradisi, la materia è feconda perché ha in sé il seme di tutte le cose
(il Logos vivificatore e creatore), è l’”anima mundi” che sta nelle cose.
Il mago di Bruno, la cui somma dignità
consiste nella capacità di cogliere l’infinito, è tanto divino da non
avere bisogno dell’ascesa, la sua mente magicamente preparata rifletterà
in sé stessa il mondo e ne acquisterà “naturalmente” i poteri.
Il panteismo e il culto dell’Uno-Tutto, che
escludendo l’idea di un Dio creatore avvicina semmai Bruno alla filosofia
buddista, lo allontana pericolosamente dall’ortodossia cattolica e bolla
la sua filosofia come eretica.
L’Uno-Tutto emana l’infinità dell’universo.
L’unità fonda l’infinità vivente e costituisce la trama della natura.
L’emanazione dell’universo dall’Uno non
avviene per livelli gerarchicamente distinti gli uni dagli altri, perché
ciò significherebbe reintrodurre il principio della differenza
qualitativa: vi è l’infinità dell’universo e la presenza nell’universo di
mondi innumerevoli.
Mondi senza numero nella infinità dello
spazio. Tuttavia l’idea dell’Uno infinito non è solo correlata alla
dimensione spaziale e alla infinità numerica, ma anche al fatto che in
ogni vivente, nella sua “finitudine”, è presente l’infinito. L’infinito
non è quindi solo il luogo della vita, ma il modo della vita.
In tutti i corpi celesti, sostiene Bruno,
vi sono le componenti di terra, acqua, aria e fuoco, ciò significa che
nell’universo vi è anche uniformità di moti e che non esiste più un sotto
e un sopra e non vi è più un luogo migliore rispetto ad un altro. Occorre
vivere nella eguaglianza metafisica.
E’ proprio questo il punto nodale
radicalmente nuovo rispetto al limite della rivoluzione copernicana: non
c’è più un rapporto gerarchico.
Il sovvertimento dell’idea dell’universo è
talmente drammatica anche perché non si parla di un artificio
intellettuale ma di una corporeità vivente , un “animale” nel quale noi
umani siamo e del quale siamo costituiti.
La morte, in questo senso, è un evento che
accade in una proporzione finita, in un angolo antropomorfico e in una
misura temporale. In realtà, se pensiamo in una dimensione più ampia, non
c’è morte, ma solo un mutare di forme nel corpo della natura.
A questo punto, Bruno si interroga su cosa
siano i sensi che ci danno la percezione della realtà che ci circonda,
essi non sono illusioni, i sensi non “sbagliano”, ci danno “informazioni”
che sono proporzionate al nostro livello. Questa illusione sensibile è
l’organo fondamentale della nostra vita quotidiana.
Ma la verità è altro, la verità è eterna e
indistruttibile, essa è la stessa cosa che l’essere medesimo.
Si apre, dunque, il problema della
conoscenza della verità; come accedere alla verità superando i sensi
illusori, le apparenze del mondo sensibile, i veli di Maya come direbbero
i buddisti?
Attraverso l’esercizio dell’ ”amore
intellegibile” ben distinto dall’ ”amore sensibile”, quest’ultimo effimero
e transitorio e definibile come vincolo, relazione che si stabilisce con
gli oggetti finiti come appaiono a chi vi ha gettato sopra lo sguardo, e
questa esperienza è comune a tutti.
L”amore “intellegibile” non mira ad
impossessarsi di oggetti finiti , ma s’impone il compito di specchiare
nella mente l’unità infinita del cosmo. I due amori si contrappongono in
quanto hanno oggetti diversi ( come senso e intelletto).
Solo quando l’uomo giunge alla condizione
“intelligibile” comincia la sua avventura conoscitiva.
La novità espressa dal pensiero di Bruno è
in questa immagine di un’unità organica dell’Uno infinito, concepito come
un animale infinito che, immobile nell’istante dell’eternità, nell’istante
del tempo è movimento, generazione e morte, unità temporale di materia e
forma.
Rispetto a questa unità infinita, eterna, ogni altra cosa, ci dice Bruno,
è “vanità”.
Annalivia Villa
Aprile 2006

Bibliografia essenziale:
G. AQUILECCHIA, Le opere
italiane di Giordano Bruno. Critica testuale, ed. oltre 1991
F.BATTAGLINI, Giordano
Bruno e il Vaticano, ed. Handromeda 1996
M.CILIBERTO, Giordano
Bruno, ed. Laterza 1992
A. INGEGNO, La sommersa
nave della religione 1985
G.MUSCA, Il nolano e la
regina. Giordano Bruno nell'Inghilterra di Elisabetta. ed. Dedalo 1996
O.NUCCIO, Raccontare
l'uomo, raccontare la natura: l'eterna ricerca nei "Dialoghi" di Bruno.
1997
P. SABBATINO, Giordano
Bruno e la "mutazione" del Rinascimento. 1993
F.A. YATES, Giordano Bruno
e la tradizione ermetica. ed. Laterza, 1995

La
dott.ssa Annalivia Villa |
L'Autrice:
Annalivia Villa,
nata a Roma, è storica dell'arte, laureata all'Università "La Sapienza"
di Roma.
Dal 1989 è socia fondatrice
dell' Associazione culturale " Mirabilia Urbis". Abilitata
all'insegnamento di Storia dell'Arte nel 1992.
Ha collaborato (dal 1994 al
1997) con la Sovrintendenza di Castel S. Angelo organizzando visite
guidate al monumento per il pubblico e conferenze sul tema degli
appartamenti papali.
Dal 1997 al 1999 ha
gestito, con la cooperativa di archeologi e storici dell'arte "Imago
Artis", il Museo delle Mura a Roma.
Per il Comune di Roma,
Assessorato alle Politiche Educative, ha svolto visite guidate di
percorsi storico-artistici per le scuole della città (dal 1987 al 2001).
Attualmente lavora al
progetto di filosofia, rivolto alle scuole superiori, "Roma per vivere,
Roma per pensare" dell'Assessorato alle Politiche Educative del Comune
di Roma. Svolge libera professione come guida turistica a Roma e
Provincia in lingua inglese.
Per contattarla: e-mail
Annalivia Villa
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Ritratto di Rodolfo II
d’Asburgo come Vertumno -
Arcimboldo, 1591