Fine pena mai. Sul fascicolo di ogni condannato
all'ergastolo campeggia una formula che è insieme il titolo e il senso più
profondo della condanna. Sarebbe una headline, se si trattasse di
un commercial pubblicitario, sarebbe il richiamo perfetto
all'attenzione del pubblico della Società dello Spettacolo. «Fine pena
mai». Ma che cosa significa? Che si deve restare dentro fino a quando si
muore di vecchiaia? Che hanno chiuso dentro il detenuto e hanno buttato
via la chiave? Che la sua vita civile è terminata?
Certo la condanna all'ergastolo dà serenità a chi
sta fuori, perché isola e allontana per sempre il criminale che ha ucciso,
che ha commesso omicidi o stragi. L'ergastolo è la pena delle pene, quella
assoluta, quella senza soluzione. Il mostro è stato catturato e ora è
rinchiuso. Pensiamo alle vittime e ai loro familiari. Finalmente avranno
giustizia. Fine pena mai. È giustizia vera sapere che il colpevole di un
atroce delitto è stato definitivamente eliminato dalla vita sociale,
espulso per tutto il tempo che gli resta da vivere. Ma è davvero così? Il
condannato è un mostro da espellere o resta pur sempre un uomo da
considerare nella sua essenza umana? Il criminale che ha delinquito
ed è stato condannato perde per questo la sua natura umana?
La Costituzione all'art. 27 prevede che l'espiazione
della pena debba avere un valore riabilitativo. La pena deve essere sì
remunerativa (cioè il condannato, con il suo tempo di detenzione, in
qualche modo ripaga la società del proprio errore), ma deve permettere
anche il recupero del detenuto. Per questo la legge prevede che in carcere
ci sia la scuola (la mancanza di istruzione è statisticamente rilevante
per i detenuti di mafia e di camorra, che sono la maggioranza degli
ergastolani), che ci siano vari corsi e laboratori (informatica,
pasticceria, giardinaggio, cineforum, teatro), che ci sia un percorso
trattamentale, espletato con grande spirito di sacrificio da
educatori, psicologi e psichiatri. Tutto questo serve a riabilitare a
livello sociale il cittadino detenuto, ma significa anche, lentamente e
inesorabilmente, recuperare l'essere umano a livello etico. Riabilitare e
recuperare, esattamente come sostiene la nostra bellissima Costituzione. E
allora l'ergastolo? La condanna a vita? L'art. 27 della Costituzione si
infrange proprio su questa assolutezza della condanna: fine pena mai.
Per questo motivo, per invitare alla riflessione
tutti i cittadini su questa assurda incoerenza tra principi etici e
attuazione concreta della condanna, dal 2 marzo all'8 marzo ci sarà
un'iniziativa civile intitolata Mai dire mai, che prevede anche lo
strumento pacifico dello sciopero della fame. Inoltre, 738 detenuti
italiani hanno già presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo di Strasburgo, chiedendo di pronunciarsi sulla pena
dell'ergastolo in Italia.
Io ho deciso di aderire allo sciopero della fame e
di dare voce a questa iniziativa con questa lettera aperta. Non offro
soluzioni, ma pongo delle domande, chiedo a chi legge di riflettere sui
concetti di colpa, di condanna e di espiazione della pena, di riflettere
per capire cosa comporta la formula «fine pena mai», cosa comporta a
livello morale, cosa comporta a livello sociale. Senza essere un giurista,
né un condannato, né un familiare di una vittima, ma come semplice
cittadino italiano che si interroga sul mondo civile di cui fa parte.
Alessandro De Filippo
marzo 2009