Sommario
In questo studio,
che è la continuazione di tre ricerche precedenti, sono esaminate le
relazioni in ambito scolastico tra un compito impegnativo ed il contesto
esterno nello svolgerlo, in alunni di età compresa tra i quattordici ed i
diciannove anni.
A 59 studenti, iscritti al I, II e V anno
dell’ITC “Besta” di Ragusa ed appartenenti a quattro classi differenti,
nella primavera del 2007 sono stati assegnati dei brevi brani (7),
raccordati in certo modo tra di loro, da leggere attentamente.
Le riflessioni in essi contenute si
collegavano ai terribili eventi di fine 2004 verificatisi nel Sud-Est
asiatico (maremoto), non più nel 2007 all’attenzione dei mezzi di
comunicazione di massa come allora. I passi scelti avevano come tema
centrale le difficoltà dell’uomo di capire veramente la natura.
Alla fine del periodo prestabilito (45
minuti), gli studenti avrebbero dovuto, in un quarto d’ora, scrivere qual
era il senso complessivo dei diversi brani letti e che messaggio personale
ne avevano tratto.
In un certo modo, per usare la
schematizzazione di Bartlett (1958), il compito assegnato era
classificabile come interpolativo.
I risultati confermano come in un
frangente di carico cognitivo e di fatica il contesto esterno possa far
fraintendere il senso dei testi assegnati: essi, infatti, sono stati letti
come se fossero un atto d’accusa contro l’umanità e le sue colpe per i
cambiamenti climatici tanto discussi nelle settimane di svolgimento della
prova.
In questo studio gli allievi del quinto,
posti nelle medesime condizioni di alunni di I e II anno, hanno
interpretato i brani nella stessa maniera errata.
Pensare non è né facile né naturale: la
riflessività vera va, pertanto, insegnata.
Abstract
Obstacles to True Thinking
by Giuseppe Tidona
In this study, which
continues three previous investigations, the relationships between a
difficult task and the influence of the outer context
in
carrying it on are assessed in 14-19 year old pupils.
In spring 2007, seven short
passages, interrelated in content, were given to 59 students from four
different classes, enrolled on the first, the second and the final year of
the ITC “Besta” (a high school in Ragusa- Italy).
The considerations included
in them concerned the terrible events (i.e. tsunami) in South East Asia at
the end of 2004, events which were not the mass media centre of attention
any longer.
The chosen reading passages
had as their focus mankind’s difficulty in truly understanding Nature and
the powerlessness of human beings.
Students were asked to read
the passages in 45 minutes and in a further 15 minutes to put the overall
meaning of the different extracts and the personal message drawn from them
in writing.
In a certain way, this task
could be classified as interpolative, to use Bartlett’s (1958) scheme.
Results confirm that in case
of cognitive load, the outer context can be misleading: at the time of the
test climatic changes were much discussed on mass media and ascribed to
people’s carelessness around the world. The seven extracts were,
therefore, misinterpreted and read as if they blamed mankind for the
events (which they were not doing).
In this research, the final
year students (18-19 years old), put in the same conditions as pupils of
first and second year, misunderstood the texts in similar ways.
Reflection is not easy nor
is it natural: true thinking, therefore, must be taught.
Introduzione
Pensare è una delle più affascinanti
avventure umane. Più o meno intensamente tutti ne facciamo esperienza
quotidianamente, ma se dovessimo darne una definizione in termini
formali-astratti, indubbiamente ci troveremmo in difficoltà. Eppure
tentare di capire questa pratica (che tra gli esseri viventi appartiene
solo all’uomo e non, ad es., agli animali) è essenziale, soprattutto per
l’educatore.
Tra gli obiettivi primari di ogni
insegnamento (non importa di quale disciplina) c’è indubbiamente quello di
promuovere la riflessività degli alunni. Ma che significa innanzitutto
questo termine? Come fare? Quali sono le pratiche che possono favorire ed
accrescere la pensosità dei discenti? E quali sono, invece, le
metodologie negative, da evitare? Rispondere a queste domande è certo
difficile, ma è uno sforzo che va comunque compiuto.
Per quanto riguarda la prima domanda
possiamo partire da una delle schematizzazioni più conosciute, quella di
Bartlett1,
il quale definisce il pensare come quell’attività umana che interviene
tutte le volte in cui noi dobbiamo operare ma l’informazione che abbiamo
di fronte a noi è lacunosa, ci sono vuoti ed essi vanno colmati.
Incontriamo, ad es., un amico che non vediamo da un po’ di tempo e
troviamo che il suo aspetto o i suoi modi sono completamente cambiati.
Perché? Che cosa sarà successo? Certo potremmo chiederlo direttamente a
lui, ma non lo facciamo, vuoi perché in questa fase ci sembra indiscreto,
vuoi perché ci viene naturale tentare una risposta da soli. Partendo,
allora, dai fatti di nostra conoscenza, da quello che noi sappiamo
riguardo alle sue abitudini ed al suo stile di vita, cerchiamo di
congetturare, ipotizzare quello che è avvenuto nel tempo intercorso.
Oppure stiamo leggendo un bel romanzo quando ci accorgiamo che per un
errore di stampa un pagina è bianca: che cosa mai diranno le righe
mancanti? Muovendo, allora, da quello che abbiamo letto prima e da quello
che leggiamo dopo possiamo immaginare più o meno precisamente il contenuto
della pagina vuota.
Bartlett2
individua tre diverse tipologie di pensiero, caratterizzate da processi e
difficoltà differenti:
1)
l’interpolazione,
richiesta come modalità quando nel mezzo di una catena di dati collegati
tra di loro, c’è un dato mancante: chi pensa deve, allora, basandosi
sull’informazione fornita prima e su quella dispiegata dopo, individuare
la parte non presente;
2)
l’estrapolazione,
necessaria quando informazioni interconnesse vengono offerte ma poi la
serie viene interrotta: è compito dell’osservatore, in questo caso,
aggiungere i dati mancanti, individuando al contempo come continuare e
quando terminare (ovvero fino a che punto portare avanti la serie);
3)
nel terzo caso l’informazione è presente, ma essa va reinterpretata
da un punto di vista diverso o va assemblata in maniera differente da come
è stato fatto sinora. Potremmo definire questa terza modalità creativa
o, se si vuole, manipolativa.
Secondo Bartlett3
è possibile affermare, se prendiamo in considerazione solo le due prime
tipologie le quali si assomigliano abbastanza (in quanto pertinenti a
sistemi chiusi, mentre la terza è più aperta o avventurosa),
che la modalità estrapolativa è più difficile della prima perché
bisogna svolgere due attività distinte: individuare i dati mancanti ma
anche decidere quando la catena ha raggiunto un suo termine naturale.
Indubbiamente nel contesto di una ricerca di
laboratorio le asserzioni di Bartlett risultano valide: le condizioni sono
standardizzate e non stressanti (al contrario dell’ambiente scolastico), e
le prove sono semplificate (si lavora con serie numeriche o di parole
collegate tra di loro): è naturale, quindi, che l’estrapolazione risulti
più difficile dell’interpolazione. Infatti, con l’interpolazione il punto
di arrivo ed un bel po’ di evidenza sulla via sono dati: quello che uno
deve fare è colmare il vuoto; nel caso dell’estrapolazione bisogna,
invece, portare a termine due compiti.
In un contesto ecologico, come vedremo tra
un po’, non è, però, così: i risultati cambiano anche radicalmente
rispetto alla previsione di Bartlett.
Ovviamente la maniera di Bartlett è una delle tante
possibili di classificare il pensiero, altre ne sono state individuate.
Alcuni autori4,
ad es., sovrapponendo le operazioni interpolative ed estrapolative, in
quanto appartenenti a sistemi chiusi, le etichettano
egualmente come deduttive, analitiche, formali e convergenti,
contrapponendovi la terza tipologia (vedi sopra Bartlett), che
classificano come modalità induttiva, creativa, espansiva e
divergente.
Questa unificazione, però, può fare perdere di
vista la specificità delle prime due operazioni (oltre probabilmente ad
ingenerare ulteriore confusione lessicale!), mettendo in secondo piano le
difficoltà caratteristiche che si possono incontrare in contesti reali
come quello scolastico in compiti di natura interpolativa rispetto a
quelli estrapolativi. Mantenere la distinzione è, allora, utile: solo cosi
ci possiamo accorgere, e lo vedremo più avanti, come le due tipologie
diano origine a problematiche differenti e come il ruolo giocato dal
contesto nei due casi sia diverso.
Studiare e pensare
Ma qual è la relazione tra lo studio in un normale
ambiente scolastico ed il pensare? Studiare nel più comune senso di
ritenere fatti, idee o principi comporta normalmente una attivazione
del pensiero? È vero, cioè, che la riflessività è un sottoprodotto
naturale dello studio condotto bene?
Alcune mie ricerche al riguardo svolte con studenti
di scuola media superiore negli anni passati hanno dato risultati che
smentiscono decisamente la presupposizione corrente. Studiare è
un’operazione cognitiva caratteristica che comporta operazioni e sforzi
particolari, al termine dei quali non si può comunque affermare che la
pensosità, come definita nei tre modi su esposti da Bartlett, sia
aumentata. Anzi, sembra che diminuisca.
Nella prima ricerca5,
ad alcuni gruppi di studenti di 14-15 anni sono stati sottoposti due brani
antologici (venivano presentati come tali) da studiare, perché
subito dopo avrebbero dovuto rispondere per iscritto ad alcune domande sul
contenuto. Le risposte sarebbero valse come verifica infraquadrimestrale
d’Italiano (si voleva imitare la più tipica, motivante, e forse anche
stressante, delle situazioni scolastiche). In effetti le letture erano
state preparate appositamente dallo scrivente e contenevano delle
incongruenze.
Le domande erano in parte fattuali
(rispondervi era semplice: bastava ricordarsi alcuni eventi concreti
citati nelle due letture) ed in parte erano di natura riflessiva,
per così dire, in quanto richiedevano di rielaborare porzioni di
informazione offerte in maniera abbastanza bizzarra nei testi: non si
poteva rimanere alla lettera dei brani a meno di esprimersi in una maniera
rivelante assenza di pensosità.
Ebbene la maggioranza degli alunni ha preferito
attenersi alla mera lettera del testo piuttosto che rispondere in maniera
ricca e soprattutto significativa. La preoccupazione di rimanere fedeli al
testo, pur se questo sfiorava l’assurdità, ha fatto aggio su tutto il
resto (anche nei discenti normalmente giudicati dagli insegnanti come i
migliori).
Solo gli studenti (le classi erano state divise in
due metà equivalenti dal punto di vista delle abilità intellettuali) che
esplicitamente, in privato, avevano ricevuto la consegna di utilizzare
alcuni organizzatori mentali all’uso dei quali erano stati addestrati
tempo prima, ed esattamente gli strumenti CoRT6
di E. de Bono, fornivano risposte generative e ricche, le quali rivelavano
l’attivazione di vera riflessione.
Se si vuole fare riferimento alla schematizzazione
di Bartlett, possiamo asserire che le prove erano del terzo tipo, cioè di
natura creativa (o manipolativa, per usare un termine che mi
sembra abbastanza efficace). Infatti, i discenti dovevano ristrutturare
l’informazione presentata per poterne cavare un senso adeguato e
soddisfacente.
Studiare non aiuta a pensare
In una seconda ricerca7
si sono volute vedere le precipue difficoltà riflessive di compiti di
natura estrapolativa.
In questo caso lo studio ha coinvolto 141 alunni di
14-15 anni, divisi in tre gruppi. Agli studenti è stata data una storia,
il cui finale era stato tagliato. Essi avevano lo stesso compito di
prevedere la conclusione sulla base degli indizi logici presenti nella
parte consegnata loro, ma seguendo procedure differenti, una delle quali
comportava che dovessero "studiare" prima la storia.
Tutti i gruppi hanno raggiunto una buona
conoscenza degli elementi del racconto necessari per anticipare la fine,
ma i risultati delle loro riflessioni sono stati abbastanza differenti, a
seconda della condizione assegnata loro.
"Studiare" è risultata la condizione
peggiore per pensare. Gli alunni, cioè, in questo caso, non hanno
utilizzato gli indizi sparsi nella parte della lettura presentata loro,
non ne hanno fatto un uso logico per arrivare alla conclusione possibile
(che è appunto un esercizio estrapolativo).
Ancora un volta la presupposizione corrente veniva
smentita: studiare non equivale a pensare!
Dal confronto tra i vari gruppi è risultato che gli
alunni nella condizione di studio avevano raggiunto spesso una
conoscenza più approfondita dei punti nodali della storia, ma non li
collegavano tra di loro, quasi non fossero capaci di autentica
riflessione.
Molti, infatti, nel prevedere la fine della vicenda
si erano abbandonati (come è stato possibile appurare in un momento
successivo di dialogo e di escussione), piuttosto alle loro aspettative,
cioè, come qualcuno dei discenti ha poi detto, a "quello che mi piacerebbe
capitasse ora", altri alla pura fantasia, oppure si erano appoggiati su
luoghi comuni o su quello che "abbiamo sentito avviene in questi casi".
C'era quasi remora a collegare gli elementi reali presenti nella storia.
Non era il testo a guidare le loro
supposizioni, ma il contorno, il resto (e questo aspetto è importante
come vedremo tra un po’).
I discenti, invece, appartenenti alla condizione
che nella ricerca viene definita di lettura erano stati in grado,
in massima parte, di prevedere il finale della trama. Quindi ciò stava a
testimoniare che questo compito di estrapolazione (utilizzare,
cioè, i dati presenti per continuare la serie e condurla ad un suo termine
naturale) non era particolarmente difficile e che comunque era alla loro
portata. Solo i discenti della condizione di studio si erano
trovati in difficoltà.
Studiare e connettere
In una terza ricerca8,
invece, si sono voluti esaminare gli ostacoli che compiti di natura
interpolativa pongono.
In essa sono state analizzate, grazie a 96 discenti
(frequentanti prime e seconde classi di istituti secondari superiori della
città di Ragusa), le possibilità dei ragazzi di questa età di effettuare
correttamente operazioni della summenzionata natura.
In che cosa può consistere l’interpolazione, non in
un ambito laboratoriale, ma in un ambiente concreto, ecologico
(quale è certamente quello scolastico)? Quando, cioè, essa non è svolta
sotto forma di gioco, ma in un’attività della vita reale?
A me per l’occasione è parso che il cogliere il
senso recondito, vero ma nascosto di una lettura (e ci sono molti brani
il cui significato profondo è nascosto tra le pieghe, sparso, per così
dire, tra le righe) potesse essere considerato un test validissimo, una
prova ecologica di interpolazione.
Sicuramente a tutti noi è già capitato molte volte
di trovarci in situazioni in cui dobbiamo sfruttare tutte le nostre
capacità interpolative per potere comprendere fino in fondo il messaggio
che ci si offre, esistente ma non esplicitamente o manifestamente
statuito.
Infatti, quali sono le operazioni mentali tipiche
dell’interpolazione che noi possiamo incontrare anche nell’attività
ermeneutica riguardo ad un testo?
Le operazioni compiute nei test interpolativi di
laboratorio comportano, non necessariamente nell’ordine in cui qui sono
esposte, innanzitutto il prendere atto dei dati che si hanno di fronte,
per poi ipotizzare quale possa essere la logica (unica o anche plurale)
che lega la catena prima e dopo l’interruzione: si veda il caso frequente
in cui ci troviamo di fronte ad una serie numerica o verbale con un vuoto
in mezzo, come si fa anche nei giochi enigmistici svolti per passatempo.
Si può arrivare ad individuare il dato mancante o
per intuito, per così dire (misteriosamente saltiamo alla conclusione, non
ci è chiaro il modo come ci siamo arrivati, il sesto senso ci dice
che funzionerà e che scopriremo dopo i passaggi intermedi).
Ma la meta può essere raggiunta, magari, attraverso
un certosino e paziente lavoro di ripasso e di riesame dei collegamenti
tra il primo ed il secondo anello della catena, tra il secondo ed il
terzo, ecc., verificando di volta in volta ed in maniera completa le
nostre ipotesi, anche con un andirivieni tra il primo ed il secondo
spezzone della catena, in modo da stabilire che abbiamo una risposta.
E che cosa bisogna, invece, fare quando incontriamo
un testo il cui senso non è così piano come ci aspetteremmo?
Possiamo, anche in questo caso, affidarci
all’istinto (o intuito che dir si voglia, per poi comunque verificare le
nostre ipotesi) oppure intraprenderemo attività di lettura ripetute, a
strati per così dire, focalizzandoci sui tratti salienti, su alcuni
passaggi topici per cogliere, attraverso la loro sovrapposizione, il vero
senso del brano, non evidente a prima vista (costituente, quindi, una
sorta di vuoto, di buco).
Come si vede, in ogni caso questa seconda attività
somiglia tanto alla prima svolta nel laboratorio!
Dopo attenta ricerca è stato individuato un “test”
adeguato alla bisogna, il racconto “Il Camaleonte” di Cechov. Tale brano
ha un tenore satirico, ma solo attraverso un’opera di “interpolazione”,
cioè riuscendo a collegare elementi distanti tra di loro, sarebbe stato
possibile cogliere la sottile ironia che lo pervade, mai diretta ed
esplicita.
Gli studenti avrebbero dovuto, dunque, scoprire il
vero senso della storia, la carica di critica sociale in essa insita.
Gli alunni erano stati assegnati ad un’unica
condizione, quella di studio. La convinzione di partenza era che delle tre
operazioni fondamentali di pensiero l’interpolazione fosse la più semplice
(v. Bartlett, citato), si voleva semplicemente vedere che percentuale di
studenti avrebbero compreso la reale natura del brano e avrebbero
formulato esplicitamente quello che nel testo resta implicito, in
situazione appunto di studio.
Solo una certa parte dei ragazzi di secondo anno
(di 15 anni) sono riusciti a cogliere il senso vero della lettura. Le
considerazioni di tutti gli altri sono risultate in massima parte
semplicistiche, elementari e fuori luogo.
Gli insegnanti, il profitto e la tipologia di
istituto non sembrano avere giocato alcun ruolo, giacché le medesime
tendenze hanno attraversato uniformemente tutte e sei le classi coinvolte.
Per vedere se la condizione di lettura avrebbero
migliorato le cose (come del resto era avvenuto per l’estrapolazione, vedi
la ricerca sopra citata del 2005) è stata ripetuta successivamente
l’esperienza in altre prime e seconde (a fine anno scolastico 2006):
questa volta gli alunni dovevano semplicemente leggere e provare a
rispondere avendo il brano sempre sotto gli occhi. Nel complesso i
risultati in termini statistici non sono cambiati significativamente.
Sappiamo già che la condizione di studio non
è quella ideale per cogliere pienamente il senso di un brano, ma questa
volta neanche la condizione di lettura aiutava.
Perché?
Perché l’interpolazione è, particolarmente in un
contesto scolastico, più difficile rispetto all’estrapolazione (cosa che
smentisce quanto affermato da Bartlett)?
Il
ruolo del contesto e dei pattern in situazione di carico cognitivo
e di stress
Molti autori, utilizzando il modello dell’Information
Processing (e quindi prescindendo da un’analisi sull’importanza dei
contesti), parlano di un carico cognitivo particolare, nelle
operazioni di interpolazione, sulla memoria di lavoro (la cui capacità,
come sappiamo, è abbastanza limitata).
Il dovere tenere contemporaneamente a bada due o
più pezzi di una catena informativa causerebbe uno stress particolare,
assente, invece, nelle operazioni di estrapolazione in cui c’è solo una
stringa di dati da esaminare, passo dopo passo, sui quali ci si può
concentrare.
Indubbiamente c’è della verità, in queste
affermazioni.
Possiamo immaginare il procedimento estrapolativo
come seriale (un passo dopo l’altro si prendono in considerazione
gli anelli della catena e si vede che cosa può condurre da un anello
all’altro fino all’interruzione, in modo da esaminare come essa possa dopo
continuare). Questa operazione comporta difficoltà probabilmente non
esorbitanti perché da un dato si può passare all’altro con calma, in modo
da arrivare all’ultima stazione con un’ipotesi già verificata: ove
essa risultasse, invece, falsificata dai passaggi intermedi si può sempre
ricominciare con comodo daccapo.
Il procedimento interpolativo sarebbe, invece, più
difficile perché richiederebbe pensiero parallelo, bisognerebbe
lavorare contemporaneamente su due (o più) campi differenti con l’aggravio
sulla memoria a breve termine di cui si parlava.
Ora io credo che ci sia della verità nelle
asserzioni sopra esposte, ma penso anche che queste difficoltà e gli
errori commessi durante l’attivazione di processi di tale natura non
possano essere spiegati compiutamente ricorrendo solo ai limiti della
memoria di lavoro, bisogna oltrepassare il terreno della psicologia
cognitiva.
L’uomo si distingue dagli altri essere viventi
proprio perché guidato non dal solo istinto ma anche dal pensiero, che è
comunque fatica, sforzo, stress.
L’essere umano, allora, per ridursi lo sforzo
riflessivo, altrimenti immane, partendo innanzitutto dalla propria
esperienza accumulata, ricerca nella realtà, ripetizioni, occorrenze, si
sforza di identificare prototipi che possano aiutarlo a trovare una
risposta. Ogni persona, dice il neurobiologo Lowery9,
è ricercatore di pattern (o modelli), ed il cervello stesso
dell’uomo è strutturato, preparato per questo compito.
Ciò significa che la reazione ad una situazione
novella è abbozzata dall’uomo sulla base della similarità della presente
evenienza con circostanze precedenti.
Nella concretezza della realtà cosa comporta tutto
questo? Che implicazione potrà mai avere nella pratica educativa?
I concetti sopra esposti sottolineano l’importanza
del contesto interno (cosa peraltro affermata dalla stessa psicologia
cognitiva, si pensi agli studi di Asubel10
sull’impalcatura mentale che rende l’apprendimento significativo) e delle
esperienze esterne nel guidare l’alunno nelle sue reazioni.
Le strutture concettuali sono costruite dallo
studente sulla base di quanto vissuto internamente e di quanto offerto
dall’esterno. Si stabiliscono in questo modo delle precomprensioni le
quali diminuiranno lo stress, che non è solo cognitivo, ma al
contempo lo condizioneranno nell’interpretare la realtà e nel giudicarla.
Si vengono a costituire dei veri e propri
cortocircuiti mentali (i pattern di cui si parlava): essi
possono essere un ricchezza (velocizzano le risposte), ma rappresentare
anche un pesante condizionamento.
In una circostanza difficile, come può essere
l’esperienza di studio di un brano “complicato” come quello di Cechov,
allora ci si affida alla legge della similarità, si cerca una
corrispondenza tra la presente situazione ed analoghe vicissitudini
antecedenti.
Così, il nocciolo del racconto è stato individuato
da molti ragazzini nel fatto che “non bisogna maltrattare gli animali”.
Certo, chi asserisce questo è rimasto
evidentemente colpito della parte in cui un tizio della folla afferma che
Chriukin- uno dei protagonisti del racconto- ha premuto il sigaro sul naso
del cane così, tanto per divertirsi, ma è molto probabile che l’importanza
eccessiva data a questo passaggio della lettura sia causata
dall’esperienza di attaccamento degli adolescenti agli animali considerati
come amici, oltre che dalle ricorrenti campagne di stampa di
sensibilizzazione riguardo ai maltrattamenti degli animali.
Un cortocircuito mentale ha guidato
l’interpretazione del brano fino a falsarne il senso.
Altri, invece, ne ricavano la convinzione
che le bugie hanno le gambe corte (probabilmente dando un’importanza
eccessiva alle parole del commissario che mette in dubbio la veridicità di
certe asserzioni), sicuramente guidati dall’eco di raccomandazioni morali
tipiche della tarda infanzia- prima adolescenza!
Gli alunni più grandi che, invece, avevano
compiuto sufficiente esperienza delle relazioni sociali e delle iniquità
talora insite in esse, probabilmente proprio perché queste ingiustizie
erano rimaste scolpite nella loro mente, riuscivano a cogliere fino in
fondo la critica alla società!
La ricerca
Per valutare in dettaglio, però, la
fondatezza di quest’ipotesi, ovvero per esaminare la centralità del
contesto nel guidare le interpretazioni e questioni ulteriori che si
pongono con un compito interpolativo in ambito scolastico, è stata
organizzata una nuova ricerca sulla scorta dei risultati della ricerca
precedente (2006)11.
Essa si è svolta nel periodo
intercorrente tra il 21/4/2007 ed il 14/5/2007.
A 59 alunni di età compresa tra 14 e 19
anni ed appartenenti ad una prima, a due seconde e ad una quinta dell’ITC
“Besta” di Ragusa sono stati assegnati dei brevi brani (7), collegati in
certo modo tra di loro, da leggere attentamente.
Alla fine del periodo prestabilito (45
minuti), gli studenti avrebbero dovuto, in un quarto d’ora, scrivere qual
era il senso complessivo dei brani letti e che messaggio personale ne
avevano tratto. Per motivarli a produrre il massimo sforzo, era stato
anche detto che quanto da loro svolto sarebbe stato valutato ai fini del
profitto complessivo.
Nella presente ricerca non è stata inclusa
una condizione di studio perché si volevano esaminare più in profondità
le difficoltà poste dalla sola lettura di testi, scelti in modo che
potessero prodursi sforzi interpolativi di un certo rilievo, per
così dire da essere “impegnativi” ad età diverse: una situazione di
apprendimento vero e proprio, come tentativo di ritenzione, avrebbe
ulteriormente complicato le cose!
I brani assegnati, che di seguito si riportano
integralmente, erano in effetti i documenti allegati nell’ambito
tecnico-scientifico (tipologia saggio breve) dal Ministero della Pubblica
Istruzione in occasione della prova di Italiano (sessione ordinaria 2005
dell’esame di Stato).
ARGOMENTO: Catastrofi naturali: la
scienza dell’uomo di fronte all’imponderabile della Natura!
DOCUMENTI
“Natura! Ne siamo
circondati e avvolti – incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più
addentro in lei. Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel
vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci
sciogliamo dalle sue braccia. Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste
non è mai stato; ciò che fu non ritorna- tutto è nuovo, eppur sempre
antico. Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla
continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo
continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra
avere puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli
individui. Costruisce sempre e sempre distrugge: la su fucina è
inaccessibile….Il dramma che essa recita è sempre nuovo, perché crea
spettatori sempre nuovi. La vita è la sua più bella scoperta, la morte, il
suo stratagemma per ottenere molta vita…. Alle sue leggi si ubbidisce
anche quando ci si oppone; si collabora con lei anche quando si pretende
di lavorarle contro….Non conosce passato né avvenire; la sua eternità è
il presente….Non le si strappa alcuna spiegazione, non le si carpisce
nessun beneficio, che essa non dia spontaneamente….E’ un tutto; ma non è
mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre”:
J.W.GOETHE, Frammento sulla natura,
1792 o 1793
“Molte sono e in
molti modi sono avvenute e avverranno le perdite degli uomini, le più
grandi per mezzo del fuoco e dell’acqua…. Quella storia, che un giorno
Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre, poiché
non era capace di guidarlo lungo la strada del padre, incendiò tutto
quello che c’era sulla terra ed anch’egli morì fulminato, ha l’apparenza
di una favola, però si tratta in realtà della deviazione dei corpi celesti
che girano intorno alla terra e che determina in lunghi intervalli di
tempo, la distruzione, mediante una grande quantità di fuoco, di tutto ciò
che c’è sulla terra… Quando invece gli dei, purificando la terra con
l’acqua, la inondano… coloro che abitano nelle vostre città vengono
trasportati dai fiumi nel mare…Nel tempo successivo, accaduti grandi
terremoti e inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte
tremenda… scomparve l’isola di Atlantide assorbita dal mare; perciò ancora
quel mare è impraticabile e inesplorabile, essendo d’impedimento i grandi
bassifondi di fango che formò l’isola nell’inabissarsi”.
PLATONE, Timeo, 22c-25d passim
“La violenza
assassina del sisma ci pone davanti alla nostra nuda condizione umana e
alle nostre responsabilità. Inadeguatezza delle nostre conoscenze,
l’insufficienza delle nostre tecnologie…Un punto tuttavia- tutto laico- è
ineludibile: dobbiamo investire nuove energie sul nesso tra natura e
comunità umana. Energie di conoscenza, di tecnologie ma anche di
solidarismo non genericamente umanitario, ma politicamente qualificato.”
G. E. RUSCONI, L’Apocalisse e noi,
LA STAMPA, 30/12/2004
“Mi fa una certa
tenerezza sentire che l’asse terrestre si è spostato. Mi fa tenerezza
perché fa della Terra un oggetto più tangibile e familiare. Ce la fa
sentire più “casa”, piccolo pianeta dal cuore di panna, incandescente, che
mentre va a spasso negli spazi infiniti insieme al Sole, gli gira intorno,
ruota su se stesso e piroetta intorno al proprio asse- un ferro di calza
infilato nel gomitolo del globo- che con la sua inclinazione di una
ventina di gradi ci dà il giorno e la notte e l’alternarsi delle stagioni.
Non è male ricordarsi ogni tanto che la Terra è grande, ma non infinita;
che non vive di vita propria in mezzo al nulla, ma ha bisogno di trovarsi
sempre in buona compagnia; che non è un congegno automatico ad orologeria,
ma che tutto procede (quasi) regolarmente soltanto per una serie di
combinazioni fortunate. La Terra è la nostra dimora, infinitamente meno
fragile di noi, ma pur sempre fragile e difesa soltanto dalle leggi della
fisica e dalla improbabilità di grandi catastrofi astronomiche…Quello
dello spostamento dell’asse terrestre è solo una delle tante
notizie-previsioni di matrice scientifica…..C’è chi dice che a questo
evento sismico ne seguiranno presto altri a “grappoli”…Altri infine fanno
previsioni catastrofiche sul tempo che sarà necessario per ripristinare
certi ecosistemi…Ciò avviene… perché moltissime cose le ignoriamo,
soprattutto in alcune branche delle scienze della Terra. La verità è che,
eccetto casi particolarmente fortunati, non siamo ancora in condizione di
prevedere i terremoti e i maremoti”.
E. BONCINELLI,
Dall’asse distorto ai grappoli sismici. Quando la scienza vuol parlare
troppo, CORRIERE DELLA SERA, 21/1/2005
“Il paradosso è
questo: i fattori che causano un maremoto…sono gli stessi che, ragionando
in tempi lunghi, hanno reso il nostro Pianeta un luogo privilegiato del
sistema solare, dove la vita ha potuto svilupparsi ed evolvere. Partiamo
da considerazioni banali: gli ingredienti di uno tsunami o maremoto sono
due: grandi masse d’acqua liquida, cioè l’oceano; e sotto all’oceano, uno
strato solido e rigido, la litosfera terrestre, che però si muove. La
litosfera che giace sotto gli oceani varia di spessore tra i 10 e gli 80
chilometri; in alcune zone particolari è squassata periodicamente da
improvvisi sussulti con spostamenti di masse che possono trasmettere
grande energia alle acque sovrastanti e causare il maremoto. Ma perché
questi sussulti, perché questa litosfera solida ma viva, vibrante, sempre
in movimento….? E poi, perché questi grandi volumi di acqua liquida che
coprono i due terzi della nostra Terra?”
E. BONATTI, Ma è l’oceano che ci dà
vita, IL SOLE 24 ORE, 2/1/2005
“Il XX secolo ci
ha insegnato che l’universo è un posto più bizzarro di quanto si
immagini…né l’instabilità dell’atomo, né la costanza della velocità della
luce si accordano allo schema classico della fisica newtoniana. Si è
aperta una frattura fra ciò che è stato osservato e quanto gli scienziati
possono invece spiegare. A livello microscopico i cambiamenti sono
improvvisi e discontinui: gli elettroni saltano da un livello energetico
all’altro senza passare per stadi intermedi; alle alte velocità non
valgono più le leggi di Newton: la relazione fra forza e accelerazione è
modificata, e così pure la massa, le dimensioni e perfino il tempo….La
speranza che tutti i fenomeni naturali possano essere spiegati in termini
di materia, di forze fondamentali e di variazioni continue è più esile di
quanto si creda, anche negli ambiti di ricerca più familiari. Ciò vale per
buona parte della fisica e per alcuni aspetti della chimica, scienza che
solo nel XIX secolo è divenuta rigorosamente quantitativa, mentre è molto
meno vero per la chimica organica e per la biochimica. Scienze della
Terrra, come la geologia e la meteorologia, in cui la complessità non può
essere troppo idealizzata, si basano più su descrizioni e giudizi
qualitativi specializzati che su una vera teoria”.
R.
VOODCKOC- M. DAVIS, La teoria delle catastrofi, Milano, 1982
“Comprendere il
mondo, agire sul mondo: fuor di dubbio tali sono gli obiettivi della
scienza. In prima istanza si potrebbe pensare che questi due obiettivi
siano indissolubilmente legati. Infatti, per agire, non bisogna forse
avere una buona intelligenza della situazione, e inversamente, l’azione
stessa non è forse indispensabile per arrivare ad una buona comprensione
dei fenomeni? …Ma l’universo, nella sua immensità, e la nostra mente,
nella sua debolezza, sono lontani dall’offrirci sempre un accordo così
perfetto: non mancano gli esempi di situazioni che comprendiamo
perfettamente, ma in cui ci si trova ugualmente in una completa incapacità
di agire; si pensi ad un tizio la cui casa è invasa da un’inondazione e
che dal tetto su cui si è rifugiato vede l’onda che sale o lo sommerge.
Inversamente ci sono situazioni in cui si può agire efficacemente senza
comprenderne i motivi… quando non possiamo agire non ci resta più che fare
buon viso a cattivo gioco e accattare stoicamente il verdetto del
destino…Il mondo brulica di situazioni sulle quali visibilmente possiamo
intervenire, ma senza sapere troppo bene come si manifesterà l’effetto del
nostro intervento”.
R. THOM, Modelli matematici della
morfogenesi, Torino, 1985
Formulazione dell’ipotesi
I brani parlano, come si è potuto vedere, delle
difficoltà dell’uomo di capire veramente la Natura.
L’ipotesi di partenza è stata che, nonostante la
condizione assegnata fosse unica e non impegnativa (gli alunni avrebbero
dovuto leggere solo i passaggi, non studiarli, non ritenerli,
quindi senza affaticarsi e preoccuparsi di questioni altre), i
soggetti della ricerca avrebbero avuto difficoltà nel comprendere
veramente il senso dei testi per almeno quattro motivi differenti:
1)
l’interpolazione è comunque operazione difficile, soprattutto per i
soggetti più piccoli di età, probabilmente anche in una semplice
condizione di lettura come questa;
2)
nel
caso presente il test consisteva nel leggere ben 7 brani differenti
(alcuni anche lunghi). Tentare di capire che cosa potesse accomunarli
significava sovrapporre i brani, cavarne similarità e differenze: un bel
problema;
3)
i
documenti offerti erano come fuori contesto (essi erano stati assegnati
all’esame di stato del 2005 quando erano di scottante attualità a causa
dell’onda anomala causata dal terribile maremoto che aveva sconvolto il
Sud-Est asiatico!): era, perciò, necessario un supplemento di sforzo
riflessivo. Il titolo poteva aiutare in maniera sostanziale (il tema che
li accomunava era, infatti, quello dell’insondabilità della natura): ma
probabilmente sarebbe passato inosservato (come poi effettivamente è
avvenuto).
4)
nella
tarda primavera del 2007, quando il test è stato effettuato nelle classi
summenzionate, sui mezzi di comunicazione si parlava in maniera insistente
degli sconvolgimenti climatici, dell’effetto serra e delle gravi
responsabilità dell’uomo in tutto ciò. Trattandosi comunque di Natura, si
potevano innescare dei cortocircuiti mentali, che avrebbero creato
l’illusione che l’interpretazione fosse facile e a portata di mano, ma che
in effetti avrebbero confuso, facendo leggere i brani come un atto di
accusa contro l’umanità e le sue colpe negli sconvolgimenti!
La presupposizione era, infine, che anche gli
allievi di 5° anno (di 18-19
anni) avrebbero letto i brani allo stesso modo di quelli della prima
classe: in situazioni di fatica e di confusione anche in loro si sarebbero
innescati i cortocircuiti mentali di cui si parlava sopra. In altri
termini, in circostanze difficili il contesto probabilmente avrebbe fatto
aggio anche su aspetti importanti come la maturazione delle abilità
cognitive o l’accresciuta resistenza allo stress.
Si può anche supporre che all’esame di stato del
2005 (ma non ho dati precisi al riguardo dei risultati di due anni fa) i
candidati i quali hanno affrontato questa tipologia di prova siano
riusciti a capire le letture in maniera percentualmente più elevata
rispetto ai soggetti della ricerca 2007 (l’importanza del contesto!)
Dalla lettura delle loro risposte è emerso il
seguente quadro.
I
risultati
Tabella 1
|
Alunni di I |
Alunni di II |
Alunni di V |
Totali di riga |
Risposta corretta
(hanno colto
il senso complessivo dei brani) |
7 |
9 |
4 |
20 |
Risposta errata
(hanno
frainteso i brani) |
13 |
18 |
8 |
39 |
Totali di
colonna |
20 |
27 |
12 |
59 |
-----------------------------------------------------------------------------------------------------
Nota sulla tabella 1:
l'analisi del chi quadrato sulla
differenza tra risposte corrette e risposte errate attraverso i tre
livelli (I, II e V anno) mostra che essa è praticamente insignificante,
corrispondendo a quanto atteso, X² (2, N=59)=0.16, p=.992, 2-sided: in
termini concreti, non c’è stata diversità nei trend di risposta tra gli
alunni di scolarizzazione ed età differenti. Evidentemente il contesto ha
preso il sopravvento su tutto il resto!
È stato anche condotto un “good of fitness
test” per vedere se la differenza tra risposte corrette ed errate degli
allievi considerati nel loro insieme si allontanava dalla distribuzione
teorica: questa volta lo scostamento è risultato abbastanza significativo,
X² (1, N=59)=6.11, p=.013. In altre parole si può escludere che la
percentuale superiore di risposte errate
(66.1%) rispetto a quelle corrette
(33.9%) sia da attribuire al caso.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Commento
Le considerazioni prodotte dai discenti sono state
codificate, ovvero classificate in tipologie, a seconda dei concetti
centrali che le reggevano, e su questa base giudicate errate o corrette.
Dalla tabella 1 si può notare come le tendenze di
risposta non siano cambiate attraverso le classi: la maturazione
cognitiva, l’abitudine a compiti “difficili” in preparazione dell’esame di
Stato non hanno esentato gli allievi più grandi di quinta dal produrre
considerazioni fuori luogo ed in massima parte simili a quelle degli
iscritti al primo anno!
La differenza tra risposte errate (66.1%)
rispetto a quelle corrette (33.9%)
risulta, invece, significativa.
La percentuale superiore di risposte
errate non può spiegarsi se non con la natura del compito e l’intervento
del contesto, che è sembrato a tanti eliminare la fatica di pensare di
fronte a ben sette brani diversi e soprattutto il tedio di esaminarli nel
dettaglio attraverso letture e confronti ripetuti.
Nel presente studio interessa discutere solo le
risposte errate.
Le considerazioni “erronee”, a prescindere dalla
tipologia di appartenenza, erano, comunque, indotte da riflessioni che in
senso lato possono essere definite di natura “ecologistica” (dominanti al
momento del test nel dibattito comune).
Se ne sintetizzano ora le più comuni, che
colpiscono tutte, perché è facile chiedersi quali possano essere i punti
di contatto tra i testi consegnati e le considerazioni espresse!
La natura
fragile e vendicativa…
“La natura è fragile, qualche volta si arrabbia,
ma se noi la rispettiamo, essa non ci farà dispetti”
(alunno di I
anno).
“La natura ci fa soffrire, perché noi abbiamo
fatto soffrire lei. Il nostro sfruttamento dello risorse è così intenso
che la natura non può far altro che ribellarsi”
(alunni di I, di II e
V anno).
“La natura è grandiosa, ma qualche volta si
arrabbia con l’uomo per il suo operato” (alunni di I e II classe).
La natura
meravigliosa…
“Nell’universo ci sono tante bellezze, ma noi
non le notiamo nemmeno e non ce ne curiamo” (alunno di I anno).
“La natura è un dono meraviglioso, ma noi non
riusciamo ad apprezzarla, anzi la distruggiamo”
(alunni di II e V
anno).
“Nella natura ci sono tante specie animali e
vegetali, guardandole ti rendi conto di quanto sei fortunato; dobbiamo
collaborare per renderla migliore, altrimenti morirà”
(alunno di V
classe).
Potenziare
la sensibilità verso la natura…
“Nelle scuole bisognerebbe insegnare di più a
rispettare la nostra Terra, perché la stiamo distruggendo”
(alunni di
II anno).
“Questi brani cercano di infondere in noi la
sensibilità che ci manca per rispettare la natura”
(alunni di I e II
classe).
La causa
delle catastrofi…
“L’inquinamento dell’uomo causa fenomeni come
terremoti, maremoti, ecc. (alunni di II anno).
“L’aumento eccessivo della temperatura, causato
dall’inquinamento, provoca l’effetto serra, la liberazione di gas nocivi
provoca il buco dell’ozono” (alunno di II classe).
“Adesso ognuno si comporta come vuole e la
natura viene distrutta; dobbiamo imparare a stare in sua compagnia”
(alunni di I e V anno).
“Ho capito che bisogna fare qualcosa per salvare
la natura, ad es. evitare di tagliare gli alberi”
(alunno di II
anno).
I dati statistici e l’analisi qualitativa delle
risposte errate sembrano confermare, dunque, l’ipotesi di partenza: i
processi interpolativi sono particolarmente difficili anche in una
condizione semplice qual è quella di lettura (evidentemente in una
tipica situazione di studio le cose non potrebbero che
ulteriormente peggiorare!).
In un frangente come questo, inoltre, di carico
cognitivo e di fatica il contesto prende il sopravvento e guida le
operazioni, perché sembra facilitare il tutto.
Nel presente studio gli allievi di V anno posti
nelle condizioni di alunni di I e II classe hanno avuto le stesse reazioni
cognitive, cadendo egualmente nella trappola “ecologistica”.
Conclusioni
Quali sono dunque le migliori condizioni per
pensare?
Dalle prime due ricerche (2004 e 2005)
summenzionate la condizione di studio è risultata
paradossalmente la meno idonea a sviluppare riflessività. La
condizione di lettura (2005) è parsa migliorare sensibilmente le cose,
incrementando la “pensosità”.
Ma nel terzo studio (2006) è stato verificato come
esistano compiti particolarmente impegnativi (quelli interpolativi)
per i ragazzi di una certa età e come nemmeno la condizione di
lettura (così è stato accertato poi) possa cambiare le cose. In
questo caso non le abilità intellettive, non il profitto scolastico, non
la condizione relativamente “rilassata”, ma solo i frangenti di vita
vissuta hanno determinato le risposte pertinenti.
Solo che le esperienze, i contesti incontrati sono
importanti e arricchiscono la persona, ma possono portare anche fuori
strada, in quanto attivanti pattern, automatismi: e questo è il
risultato della presente (2007) ricerca.
Il compito assegnato nel 2007 agli studenti,
classificabile anch’esso come interpolativo, era senza dubbio più
impegnativo rispetto a quello del 2006.
Ancora una volta la condizione privilegiata (quale
abbiamo visto essere quella di lettura rispetto allo studio)
non ha aiutato, ma ora, in presenza di una difficoltà pronunciata,
neanche la maggiore esperienza (ovvero l’età) ha discriminato
più: ciò ha fatto sì che una percentuale consistente di alunni non sia
riuscito a cogliere il vero senso dei 7 brani offerti.
Anche studenti di 18-19 anni hanno prodotto, di
fronte ad un compito che era stato pensato da Ministero della Pubblica
Istruzione proprio per loro nel 2005, le medesime considerazioni semplici
di ragazzi di 14 anni.
In situazione di difficoltà pronunciata il
contesto esterno ed interno determina l’attivazione di
cortocircuiti mentali, di schemi che prendono il sopravvento ed in
maniera spesso fallace sembrano risolvere ogni problema.
Che conclusioni trarne?
In generale sembra esserci una relazione inversa
tra sforzo e pensosità: quando aumenta l’uno diminuisce l’altra (voglio
specificare che lo sforzo di cui qui si parla è lo stress, non l’impegno
cosciente che ha, invece, una relazione diretta con i risultati)!
Leggere è meglio che studiare in
termini di attivazione di vera riflessività: ma se il compito è
particolarmente gravoso e lo stress interpretativo è notevole, è molto
probabile che la persona si faccia comunque guidare da modelli
di risposta suggeriti dal contesto, da schematismi che possono portare
fuori pista.
Nelle condizioni di difficoltà il riflettere
vero è meno diffuso di quanto non crediamo.
Pensare significa, infatti, rivedere,
ritornare, domandarsi, mettere in dubbio, comparare: tutte
operazioni non semplici e faticose, che non vengono neppure favorite da
una certa cultura dominante. In ambito scolastico, e non, sembra, infatti,
vigere un principio assurdo: chi è bravo è anche veloce, cioè capace di
trovare una soluzione nel più breve tempo possibile. Dunque ognuno si
affretti a trovarla!
La fretta è naturale ma in molte
circostanze è uno dei più importanti fattori limitanti12.
Pensare significa anche la disponibilità a pensare,
la sensibilità nell’intravedere quelle situazioni lacunose che a prima
vista potrebbero sembrare soddisfacenti. In altri termini, la persona
riflessiva non è solo capace di risolvere i problemi, soprattutto li sa
individuare!
Se pensare non è dunque naturale e istintivo come
lo possono essere il respirare ed il mangiare e se nei compiti gravosi si
ricorre a determinati pattern di risposta, spesso fallaci, è necessario
che alla vera riflessività si venga abituati, addestrati.
Studiare non basta, così come non basta avere
maturato una certa esperienza per dire di essere diventate delle persone
“riflessive”.
I docenti devono esplicitamente insegnare
a pensare, ad intravedere i problemi.
A questo fine possono essere utili gli
organizzatori mentali che guidano il pensiero e lo reggono passo dopo
passo, per evitare che esso ricorra a soluzioni stereotipate o si
accontenti della prima risposta a portata di mano.13.
Alcune esperienze effettuate in un
contesto italiano hanno già testimoniato la loro efficacia14.
Questi strumenti sono come dei passamano della riflessione e la
disciplinano anche quando è necessario un sforzo intenso, come si diceva
sopra, di pensiero parallelo.
Giuseppe
Tidona
Ragusa, estate 2007
Per contattare
l'Autore, si può scrivere all'indirizzo e-mail
gtidon@tin.it
.

1 Sir Frederic Bartlett,
Thinking- An Experimental and Social Study, London, Allen &
Unwin LTD, 1958, pp. 21-22.
2 Sir Frederic Bartlett,
op. cit., p. 22.
3 Sir Frederic Bartlett,
op. cit., p. 33.
4 Cfr., tra gli altri,
Nickerson, Perkins & Smith, The Teaching of Thinking, London,
Lawrence Erlbaum Associates, 1985, p.50.
5 G. Tidona, Studiare
e pensare, Ragusa, 2004; è possibile leggere la versione integrale
dell’articolo riferente i risultati della ricerca accedendo al sito:
http://www.itcbesta.it/Tidona.htm. La ricerca è stata presentata
alla V Conferenza Internazionale sul Pensiero Creativo presso
l’Università di Malta e la sua versione inglese è stata pubblicata in
Creative Thinking- Selected Proceedings of the
Fifth International Conference on Creative Thinking,
edited by Sandra Dingli, Malta, Malta University Press, 2007.
6 E. de Bono, CoRT
Thinking, Blandford, Dorset, Direct Education Services Limited,
1973-1975; vedi anche de Bono, CoRT Thinking Program. Workcards and
Teacher's Notes. Chicago, Science Research Associates, 1987.
7 G. Tidona, Studiare
non aiuta a pensare, Ragusa, 2005; la ricerca è stata sottoposta
al Comitato scientifico della 12th International Conference on
Thinking presso l’Università di Melbourne, Australia (2005) ed
accettata dallo stesso per la presentazione durante la conferenza.
Anche in questo caso è possibile leggere la versione integrale dello
studio accedendo al sito citato sopra.
8 G. Tidona, Studiare
e connettere, Ragusa, 2006; anche in questo caso è possibile
leggere la versione integrale della ricerca accedendo al sito:
http://www.itcbesta.it/Tidona.htm.
9 L. Lowery, The
Biological Basis for Tinking, in “Developing Minds” edited by A.
Costa, Alexandria- USA, ASCD, 2001, p.175.
10 Cfr. D. Ausubel,
Educazione e processi cognitivi, Milano, Franco Angeli, 1998.
11 Cfr. G. Tidona,
Studiare e connettere, cit.
12 Perkins,
Outsmarting IQ, NY, The Free Press, 1995, volume in cui Perkins
individua la hastiness come uno dei limiti riflessivi salienti
dell’uomo di oggi.
13 Vedi, ad es. gli
strumenti CoRT di E. de Bono, citato sopra.
14 Vedi i miei resoconti
"E' possibile migliorare la creatività e la riflessività dei
ragazzi?", in Dialogo, anno XXVI, n.7, ottobre 2001, Modica, pp
1-9, e "Riflessività e creatività a scuola", in Dialogo, anno
XXVII, n. 7, ottobre 2002, Modica, pp.7-8. Entrambi gli studi sono
disponibili on line sul sito web citato sopra.