Creatività e riflessività

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Siamo lieti di ospitare lo studio presentato dal prof. Giuseppe Tidona alla Fifth International Conference on Creative Thinking, organizzata dall'Università di Malta dal 21 al 22 giugno del 2004. E' disponibile anche la versione inglese.

Università di Malta (fondata nel 1592)

 

Immagine tratta dal sito http://www.didatticaonline.unitn.it

 Studiare e pensare

 

 

I risultati di un esperimento

 

 

                                             di Giuseppe Tidona

 

Abstract

In alcune occasioni l'apprendere è stato visto come un derivato del pensare ed il processo dell'imparare è stato investigato come pratica per la verifica di ipotesi. Da alcuni ricercatori è stato, per esempio, supposto che chi impara, nell'acquisizione di uno specifico concetto, primariamente genera determinate ipotesi riguardo ad esso, che poi verifica alla luce delle occorrenze specifiche che incontra. Questa concezione vede l'apprendimento come "esplorativo".

In questo articolo viene presentato un esperimento organizzato per esaminare la relazione tra l'imparare ed il pensare nell'ambiente scolastico.

A due classi, composte da studenti rispettivamente di 14 e 15 anni, sono state date due diversi brani da studiare in un periodo predeterminato. Le due letture erano le stesse nelle due occasioni. Allo stesso tempo gli alunni sono stati informati che alla fine avrebbero dovuto rispondere ad alcune domande sul contenuto. Certe sezioni dei brani potevano essere interpretate o in un senso più letterale (anche se questa scelta portava ad un risultato poco convincente) o in un modo più creativo (cosa che avrebbe dato più spessore e ricchezza di significato alle storie). Ma per compiere l'ultima scelta era necessario pensare produttivamente, essere in grado di ristrutturare mentalmente l'informazione in una nuova maniera.

Le due classi sono state divise in due metà (9+9 la prima classe e 6+6 la seconda), grossa modo composte da studenti di abilità e profitto similari: una costituiva il gruppo sperimentale e l'altra quello di controllo.

Agli studenti del gruppo di controllo è stato semplicemente raccomandato di pensare profondamente e riccamente prima di rispondere, dopo avere studiato il contenuto.

Gli alunni, invece, del gruppo sperimentale sono stati invitati ad usare lo strumento APC (facente parte delle lezioni CoRT del dr. de Bono), che li avrebbe aiutati e guidati nel trovare le risposte.

Tutte e due i gruppi (quello sperimentale e quello di controllo) avevano svolto una certa pratica degli strumenti CoRT (incluso l'APC) alcune settimane prima. Mentre però nella condizione sperimentale i discenti sono stati esplicitamente invitati ad usare l'APC, agli studenti che fungevano da controllo è stato solo raccomandato di essere il più possibile ricchi e profondi nelle loro riflessioni senza nessun'altra aggiunta. Questi alunni non sapevano neppure che l'altra metà stava usando lo strumento di de Bono.

Come previsto nella condizione di controllo la maggioranza degli studenti tutte e due le volte ha dato la risposta più ovvia e superficiale (perfino i migliori delle due classi), scegliendo di restare fedele al testo.

Tutti gli alunni della condizione sperimentale, invece, hanno fornito risposte varie ed elaborate, stupefacenti in alcuni casi per la loro profondità.

Pensare non è naturale ed imparare non è pensare, se per pensare si intende riflessione generativa, cioè ragionamento che muove da A a B. In realtà imparare è più un processo passivo che attivo.

Gli strumenti di de Bono sono molto utili se viene compiuto uno sforzo deliberato per usarli.

 

 Parte I

 

Pensare

 

Noi abbiamo due forme di pensiero. C'è innanzitutto il pensiero semplice, che riflette la cosa così come è, ne prende atto. Possiamo definire questo come pensiero di primo livello. Tale forma di pensiero si limita a scrutare la realtà e ad assorbirla nella sua foggia originaria. È un pensiero che non richiede un grande sforzo ma solo un'attenta osservazione, una fissazione prolungata. Bisogna, certo, assicurarsi che lo sguardo sia "puro" e che non ci siano diaframmi distorsivi i quali potrebbero alterare i contorni della cosa.

Tale modalità di pensiero è stata benissimo esemplificata nella formula "adaequatio rei et intellectus", resa famosa da San Tommaso d'Aquino. La cosa e l'intelletto corrispondono di per sé naturalmente, a meno di falsificazioni volute. La realtà sta di casa nella mente del soggetto conoscente, non è qualcosa di alieno o di totalmente estraneo ad essa.

E' altrettanto celebre l'altra frase di Tommaso "cognitum est in cognoscente per modum cognoscentis": il conosciuto si trova nel conoscente anche se sotto forma specifica, cioè, di concetto.

C'è, però, una seconda modalità di pensiero, più complessa e per molti versi più importante della prima, anche se non sempre è riconosciuta come tale.

Prima di illustrarla bisogna specificare che nella quotidianità della vita le situazioni sono spesso confuse. Non è sempre possibile dire con certezza che A è A, sia perché A è un po' più di A sia perché non sappiamo se la concettualizzazione "A" sia stata ben costruita. Non è poi così frequente trovarsi a portata di mano un oggetto, pronto e definito, cui rapportare un simulacro mentale, anch'esso ben delineato, per decidere della verità.

Per tali motivi sovente diventa più importante il pensiero esplorativo, quello produttivo in grado di muoversi da A a B, di tentare collegamenti non bene evidenti, di trarre conclusioni da premesse non individuate a prima vista. Di descrivere probabilmente A come qualcosa di diverso.

Possiamo definire questo come pensiero di secondo livello.

 

Studiare

 

Esaminiamo brevemente ora l'altro verbo del titolo. Che significa studiare?    Studiare ed apprendere sono forse sinonimi?

Non è così.

 L'apprendere è una realtà costante della nostra vita, di tutti quanti noi, non così lo studiare che è invece una condizione riservata ad alcuni. Lo studiare include normalmente l'apprendere, ma l'apprendere può non includere lo studiare. In altri termini l'apprendere è un'area più vasta dello studiare.

Bruner, Goodnow e Austin1 hanno visto l'apprendere come un sottoprodotto del pensare; l'apprendere esaminato da loro in particolare è quello che porta alla formazione dei concetti. Si può pensare alla generazione dei concetti come alla produzione di insiemi di regole che servono per classificare gli oggetti.

Bruner ed i suoi colleghi hanno visto l'apprendere come una forma particolare di generazione e poi di "verifica delle ipotesi".

Colui che sta imparando produce normalmente, riguardo alle caratteristiche salienti del concetto in fase d'acquisizione, delle supposizioni che poi verifica osservando attentamente gli esempi di esso rintracciabili nella realtà. Ad esempio se il concetto in fase d'acquisizione è quello di fungo" posso subito apprendere che alcuni sono velenosi ed altri no. Ma il passo successivo, più importante, sarà trovare le caratteristiche che li differenziano. Se volessi definire esattamente il concetto di fungo commestibile, potrei, ad es., assaggiarne un pezzettino (in modo da non essere ucciso se velenoso), produrre delle ipotesi sui tratti che lo contraddistinguono e poi verificare sulla base degli esemplari che incontro se i "marcatori" da me stabiliti sono da ritenersi soddisfacenti o meno.

Che l'apprendere in situazione informale possa essere esaminato come un derivato del pensare è accettabile e condivisibile, che questo modo di vedere possa poi essere esteso allo studio come forma particolare dell'apprendere, lo è un po' meno. In altri termini che lo studio, inteso nella sua forma canonica di "applicazione metodica" grazie all'ausilio di libri o di altri strumenti ad essi assimilabili, abbia normalmente come sua caratteristica saliente quello di essere generazione e poi verifica di "ipotesi" è concezione meno convincente.

Alcuni hanno fatto una distinzione tra la generazione di ipotesi2, da una parte, e la verifica e l'applicazione di ipotesi, dall'altra parte. E' più probabile allora che nelle nostre scuole sia più sviluppato, al massimo, il secondo aspetto della cosa.

Questa differenza potrebbe anche essere formulata in termini di processi induttivi e deduttivi: i primi sono senza dubbio meno praticati dei secondi in ambito educativo.

La distinzione può ancora essere delineata in termini di ragionare e pensare. Sicuramente il ragionare è forma più comune del pensare nelle nostre scuole.

Petter3 ha parlato di pensiero guidato e pensiero autonomo. Per molti versi il ragionamento è il pensiero guidato dalle regole già stabilite prima.

Si potrebbe anche affermare, per usare la terminologia di prima, che ragionare è pensare di primo livello.

Non bisogna, infine, trascurare che per sviluppare il pensiero di secondo livello tre fattori sono senz'altro richiesti: la volontà di pensare, la perseveranza per raggiungere risultati e la voglia di cercare alternative e possibilità.

     

Pensare e studiare

 

Per questi motivi è difficile vedere come il pensare possa essere la caratteristica saliente delle forme di studio cui s'è fatto cenno sopra.

In molte situazioni scolastiche è richiesta solo la maniera più elementare del pensare: essa è allora semplicemente riferire con chiarezza. Così il pensiero è solo "riflessione", rispecchiamento adeguato nella propria mente. Il processo di comprensione adeguata consiste solo in questo: dopo aver assorbito le idee di altre persone (è ciò in cui fondamentalmente consiste lo studio), si cerca di intuirne il loro punto di vista, di scoprirne le ragioni. Studiare è, cioè, mettere a fuoco, arrivare ad una destinazione, a quella stessa cui qualcuno è giunto prima. Il pensiero è riflessione identificativa.  

Il pensare nella forma più alta dovrebbe essere andare oltre, non arrivare semplicemente ad un punto stabilito a cui si è aspettati.

Normalmente il pensiero più autentico accade quando esso è autonomo (quando cioè non si è guidati nella riflessione e si è soli anche nella direzione). Se è questa la condizione allora necessariamente bisogna assumersi la responsabilità di ogni mossa. Il pensiero vero è, pertanto, maturo. Per arrivare a questa meta è necessario, però, che già in ambito scolastico gli allievi siano abituati a formarsi giudizi autonomi, che ne acquistino il gusto e siano fieri delle loro personali intuizioni. La riflessione da identificativa diventa così esplorativa.

 

Le lezioni CoRT

 

Qual è allora la preoccupazione principale in ambito scolastico? Si va al di là della riflessione identificativa? Si è capaci di pensiero proprio?

Le lezioni CoRT4 sono state sviluppate da E. de Bono proprio per instillare negli studenti il gusto e l'abilità del pensare. Esse, messe a punto agli inizi degli anni settanta, consistono di sessanta unità didattiche specifiche, divise in sei gruppi di dieci segmenti ciascuno, per sviluppare riflessività e creatività negli alunni. Le lezioni, adatte a studenti di età e profitto scolastico vari, vanno insegnate per un'ora, un'ora e mezza a settimana da un docente che le abbia assimilato prima per conto proprio. Il nome CoRT è, in effetti, un acronimo che sta per Cognitive Research Trust (l'organizzazione di ricerca educativa nel cui ambito sono state messe a punto, a Cambridge, U.K.).

Le lezioni, come dice lo stesso de Bono5, offrono agli studenti degli "strumenti" utili a materializzare, a dare concretezza ad alcune operazioni mentali, che altrimenti rimarrebbero sfuggenti, imprecisate e quindi svolte il più delle volte non adeguatamente.

Se si dicesse, ad es., ad un discente di essere accurato nella valutazione di una data idea, indubbiamente questa sarebbe una raccomandazione nobile, ma produrrebbe scarsi risultati pratici. Che significa: "Devi cercare di essere preciso e profondo nei tuoi giudizi"? Come potrebbe lo studente tradurre quest'utile consiglio datogli in un'attività concreta? In effetti, la cosa resterebbe nebulosa e l'alunno non avrebbe mai la certezza di agire correttamente.

Se invece gli si dice "Svolgi un PMI" (è il nome di un esercizio specifico delle lezioni CoRT- vedi più avanti) allora tutto acquista immediatezza e l'esortazione si converte subito in un esercizio eseguibile.

Gli strumenti "mentali" offerti da E. de Bono sono spesso costituiti da una catena di operazioni da compiersi in sequenza così come esposti. Queste attività da svolgere passo passo, una dopo l'altra, aiutano l'alunno a superare l'incertezza che vince chiunque, in modo particolare gli adolescenti, quando devono svolgere qualcosa che rimane su un piano di assoluta genericità. 

Ogni lezione si indirizza ad una specifica abilità riflessiva. Tante attività mentali su cui i discenti sono invitati ad esercitarsi sono contrassegnate da nomignoli per facilitarne il ricordo. Essi sono gli acronimi formati dalle iniziali delle parole usate per denominare l'abilità sottesa.

Poco fa si parlava del PMI6 - o "Piemmeai" come bisogna leggere secondo la pronunzia inglese. Nel caso specifico, la P sta per Plus, l'aspetto più, positivo delle cose, la M sta per Minus, l'aspetto meno, negativo dell'idea, la I sta per Interesting, il lato interessante, nuovo della cosa (di per sé non ancora né positivo né negativo, ma da sviluppare, da pensarci). 

Se ad es. venisse lanciata la seguente idea7: "Si dovrebbero togliere tutti i sedili degli autobus", allora potrebbe essere compiuta la seguente analisi:

 

P (cioè aspetti più, positivi)

          - In ciascun autobus potrebbero starci più persone.

- Sarebbe più semplice salire e scendere dagli autobus.

         - Sarebbe più economico costruire e riparare gli autobus.

 

      M (cioè aspetti meno, negativi)

          - I passeggeri potrebbero cadere più frequentemente, in caso di brusche frenate.

- Le persone anziane e invalide non potrebbero utilizzare gli autobus.

- Sarebbe difficile portare con sé le borse della spesa o i bambini piccoli.

 

I (cioè aspetti interessanti)

          - Un'idea interessante è che si potrebbero utilizzare due tipi di autobus: alcuni con i sedili, altri senza.

         - Un'idea interessante è che lo stesso autobus potrebbe svolgere più servizi.

- Un'idea interessante è che la comodità potrebbe non essere considerata così importante per un autobus.

 

Una volta che, in questo modo, le attività mentali acquistano identità e riconoscibilità immediate è più facile far esercitare su esse gli alunni. 

 

 

Struttura delle lezioni CoRT

 

Si diceva che il corpus è formato da sessanta lezioni suddivise in sei gruppi.

Le sei serie sono così composte: la prima è denominata "Ampiezza di vedute" (lo scopo è quello di arricchire il modo di pensare degli alunni), la seconda "Organizzazione" l'obiettivo è quello di aiutare l'allievo ad organizzare il pensiero, la terza "Interazione" (tratta del pensiero interattivo e critico), la quarta "Creatività" (riguarda alcuni suggerimenti e tecniche per stimolare la creatività), la quinta "Informazioni e sensazioni" (come raccogliere e valutare le informazioni), la sesta "Azione" (il pensiero che si traduce in azione).

Non è comunque strettamente necessario trattare tutto il corpus in blocco. É possibile svolgere le lezioni CoRT nel loro formato basico (costituito da venti unità) in circa 20-25 ore (e quindi nell'ambito di un solo anno scolastico).

Le lezioni CoRT sono state insegnate da me ripetutamente, in particolare a gruppi di adolescenti, con effetti molto positivi.  Ho anche organizzato degli esperimenti per avere una misura oggettiva della loro efficacia. In due anni scolastici consecutivi (cioè nel 2000/2001 e nel 2001/2002) ho voluto ripetere, per raggiungere una maggiore certezza, il medesimo esperimento che ha riguardato prime classi dell'Istituto Tecnico Statale Commerciale "Besta" di Ragusa.

 Le classi sperimentali, testate prima e dopo l'esperimento (che è consistito nell'insegnamento, per un anno, della prima e quarta serie delle lezioni CoRT, v. sopra), hanno riportato punteggi decisamente più alti ad un test ideativo ed al test di creatività di Williams rispetto alle classi di controllo. Anch'esse (paragonabili alle prime in termini di capacità complessive di partenza) erano state testate all'inizio ed alla fine dell'anno scolastico ma non avevano ricevuto nessun insegnamento di questo tipo (per una consultazione completa dei risultati, v. la rivista "Dialogo"8).

Gli esiti complessivi sono stati molto incoraggianti. Gli articoli sui due esperimenti sono stati anche sottoposti alla Commissione di valutazione della XI Conference on Thinking organizzata dall'Università di Phoenix- USA (2003) e da essa accettati per la presentazione.

Uno degli strumenti più importanti delle CoRT è l'APC. Esso è uno strumento che forza chi pensa ad allargare i suoi orizzonti ed a prendere in considerazione opzioni prima semplicemente ignorate. L'acronimo APC sta per:

 

A  (in inglese Alternatives)    = Alternative

P  (in inglese Possibilities)    =  Possibilità

C  (in inglese Choices)          =  Scelte

 

Quando si pensa si ha spesso la sensazione che tutte le idee, scelte ed alternative possibili siano semplicemente dinanzi a noi, e che quindi ci si possa limitare ad esaminarle. Frequentemente però la risposta ai nostri problemi non è costituita dalle soluzioni più ovvie, è necessario invece uno sforzo deliberato, un tentativo strutturato per ricercare opzioni differenti, magari più adeguate rispetto a quelle che vengono in mente spontaneamente. Per raggiungere questo scopo è, però, necessario un organizzatore grafico, un supporto che aiuti la mente, la guidi nella sua riflessione e la indirizzi nelle varie direzioni. Pensare in fondo non è naturale: tutto ciò che è naturale è istintivo, perciò stereotipato.

 

 

Parte II

 

L'esperimento

 

Per vedere se studiare comporti di per sé il pensare (inteso come pensare produttivo) è stato organizzato il seguente nuovo esperimento in due classi dell'Istituto Tecnico Statale "F. Besta", cui erano state insegnate allo stesso modo le lezioni CoRT fin dall'inizio dell'anno scolastico presente (2003-2004).

La I C, composta da studenti dell'età media di 14 anni e la II E, formata da quindicenni, sono state divise in due metà (9+9 la I C e 6+6 la II E) comprendenti elementi grosso modo comparabili in termini di profitto scolastico e di capacità complessive. All'interno di ogni classe una metà fungeva da gruppo sperimentale e l'altra da gruppo di controllo.

Ad entrambi i gruppi, in tutte e due le classi, sono stati assegnati due brani da studiare; si diceva che poi sarebbero stati dati loro dei voti (si è voluta simulare la più tipica situazione scolastica) sulla base delle risposte scritte fornite ad alcune domande che avrebbero conosciuto in un secondo momento, alla fine del periodo concesso per lo studio (20 minuti per i due brani).

Trascorso il tempo, i testi dei due brani venivano sottratti; subito dopo la metà sperimentale era invitata fuori per ricevere delle consegne particolari: lì si diceva semplicemente loro che avrebbero dovuto servirsi dello strumento dell'APC per rispondere alle domande (senza che esso venisse rispiegato, ovviamente). Mentre gli altri erano nel corridoio, alla metà rimasta in classe si dava la raccomandazione che avrebbero dovuto pensare accuratamente e rispondere nella maniera più ricca possibile alle domande; non veniva, però, prodotto alcun cenno specifico all'APC. Si ribadisce quanto detto: entrambi i gruppi avevano studiato l'APC alcune settimane prima in maniera simile.

Le due metà venivano, quindi, riunite ed erano loro assegnate le medesime domande sui due brani, senza che ci fosse la possibilità che gli alunni si scambiassero informazioni o idee. La stessa procedura è stata seguita nelle due occasioni (il 12/1/2004 per la I C ed il 13/1/2004 per la II E).

Uno dei due testi, così si diceva, era un brano storico di Plutarco su Alessandro Magno. Il secondo era, invece, un passaggio tratto da una novella di fantascienza di un supposto narratore italiano, Giorgio Corradini: in effetti, entrambi i brani erano stati composti dallo scrivente nello stile opportuno.

Si riportano di seguito le due letture.  

  I° brano

 

La spedizione di Alessandro Magno

 

Alessandro Magno varcò l'Ellesponto alla testa di un esercito agguerrito composto da Traci, Macedoni, Illiri e Greci (mancavano però gli Spartani - o ce n'erano pochi di quella città- visto che essi si erano chiusi in un isolamento improduttivo, segno inequivocabile della loro crisi): 4x10.000 uomini lo componevano e tutti quanti erano determinati a battere l'esercito persiano. Alessandro Magno partecipava spesso alle azioni in prima linea, infondendo coraggio ai suoi soldati. L'impresa già in partenza si presentava come un'impresa epica date le prevedibili difficoltà che sarebbero state sicuramente incontrate. Ma il suo esercito era ben formato e pronto ad ogni evenienza. (Plutarco)

 

II° brano

 

Il pianeta Kebola

 

Quel povero soldato semplice stava solo, lì all'aperto, esposto al freddo ed alla pioggia. Era 1000 anni luce distante dalla Terra e proprio in quel momento gli veniva di pensare ai suoi cari che, al calduccio di una casa confortevolmente riscaldata, stavano cenando. Eh già, in quel momento, laggiù era festa, la più attesa e la più amata delle feste, il Natale! Ma lui non poteva partecipare alla gioia ed alla serenità comunicate dallo stare assieme, agli amabili discorsi della sua famiglia. Si trovava invece sul pianeta Kebola, quattro volte più grande della Terra, in un ambiente desolato, sotto una luce fioca dal colore cinereo, ricca di vapori sulfurei. Non avendo studiato (a scuola andava malissimo ed aveva lasciato perdere subito), non poteva neanche aspirare a posizioni di rilievo. Lui ed i suoi commilitoni erano venuti dalla lontana Terra come conquistatori e dovevano ora proteggersi da eventuali contrattacchi. Avevano il compito di diffondere la civiltà terrestre, così avevano detto loro i superiori. La gravità, quella gravità rendeva però tutto insopportabile! L'aria era pesante da respirare; perciò al soldato era parsa chiara la ragione per cui anche il più insignificante dei movimenti era una sofferenza atroce. "Ah se l'aria fosse più fine e frizzante, potrei almeno farmi una corsettina qui attorno alla base, per sgranchirmi un po' le ossa e sciogliere i muscoli!" diceva tra sé e sé. E con la mente andava all'arietta tonificante di casa e a come grazie a ciò si muoveva in scioltezza laggiù. L'amico Giacomo, sul pianeta Kebola con lui, ascoltava i suoi discorsi: egli (che invece a scuola andava bene e si era fatto una certa cultura), lo trattava però da ignorante. Tra i due non s'era, dunque, sviluppata una vera amicizia. Adesso il clima invernale rendeva quel turno di guardia al campo base insopportabile. (Giorgio Corradini)

 

Le domande erano in parte "fattuali", cioè gli alunni venivano invitati a ricordare e a riportare dati che erano inseriti nei due brani: e queste erano ovviamente le consegne più semplici. Ma c'erano anche altre domande che richiedevano uno sforzo di natura diversa, più "elaborativa" (sempre che gli alunni ne fossero capaci!).

Nel caso del primo brano la domanda "fattuale" era: "Come si comportava in battaglia Alessandro Magno?". Per rispondervi, bastava rievocare il passaggio implicato: in fondo i dati erano forniti dal brano direttamente.

La seconda domanda- sempre riguardo alla prima lettura- era già più impegnativa, giacché per rispondere in una maniera che avesse senso e fosse logica, bisognava impegnarsi in uno sforzo di riflessione "trasformatrice". Essa era: "Quanti uomini aveva a disposizione Alessandro Magno?".

Per soddisfare la richiesta in maniera "intelligente", bisognava fare i conti con un dato del testo che destava indubbiamente più di una perplessità. In esso si parla, infatti, di 4x10.000 soldati, che indiscutibilmente è un modo curioso per esprimere una quantità complessiva.

Questa maniera di porre la notizia poteva forse fare pensare alla disposizione in marcia dell'esercito stesso o al contributo che i vari popoli alleati fornivano, ma nessuna di queste supposizioni, a pensarci bene, era pienamente convincente.

Per trarsi d'impaccio il modo più persuasivo restava quello di eseguire la moltiplicazione e di riferire il totale. Per potere rispondere in questo modo si doveva, però, fare un "minimo" sforzo di pensiero "produttivo". L'alternativa sarebbe stata riportare l'informazione alla stessa guisa (4x10.000), restare, cioè, alla "lettera" del brano, spegnendo così il pensiero.

Per quanto riguarda la seconda lettura la domanda "fattuale" (che richiedeva insomma solo uno sforzo "rievocativo") era: "Perché si erano spostati dalla Terra sul pianeta Kebola?".

La domanda a cui si poteva, invece, rispondere sia in maniera quasi "ovvia", senza nessuno sforzo riflessivo, stando, cioè, alla superficie del testo, sia in modo più ricco, collegando elementi distanti del testo, era: " Perché Giacomo tratta l'amico soldato da ignorante?". La risposta più scontata era che Giacomo aveva più cultura, perché a scuola andava meglio, e perciò aveva la puzza sul naso, per così dire.

Ma un'altra ne era possibile solo che uno mettesse in collegamento elementi lontani del brano. L'amico soldato attribuiva la difficoltà di ogni movimento alla pesantezza dell'aria, ma altrove viene detto che sul pianeta Kebola la gravità era quattro volte quella della Terra: pertanto egli sta solo esprimendo una concezione "ingenua" (pregiudizio che è molto diffuso tra gli adolescenti9, nonostante essi abbiano già studiato a quell'età il fenomeno più volte nelle Scienze).

La pesantezza non è tanto dovuta all'aria ma alla gravità. Quindi è molto più probabile che il giudizio "severo" di Giacomo sia generato da questa persistente attribuzione indebita dell'amico piuttosto che dal titolo di studio. Per arrivare a questa risposta era indubbiamente necessario uno sforzo riflessivo di un certo spessore, in considerazione del fatto che bisognava sfuggire anche alla trappola della concezione naturale sempre aperta per tutti gli studenti, nonostante gli sforzi degli insegnanti di Scienze per non farveli ricadere. 

Si può altresì affermare, data la summenzionata situazione, che lo sforzo generativo era inferiore nel primo caso, di molto maggiore per quanto riguarda il secondo brano.

 

Formulazione dell'ipotesi

 

L'ipotesi di partenza era che gli studenti del gruppo di controllo, nonostante le raccomandazioni orali e scritte di iniziare la loro compilazione solo dopo avere pensato in maniera ricca, rispondessero alle due domande "riflessive" nella maniera più ovvia e scontata, almeno la stragrande maggioranza di loro, pur dimostrando di avere studiato bene i brani, fornendo dati corretti alle domande "fattuali", quasi che il riflettere, del secondo livello, non sia di per sé implicato nello studiare, nelle normali situazioni di scuola.

La supposizione era ancora che gli alunni del gruppo sperimentale i quali, invece, esplicitamente erano stati invitati ad usare quegli strumenti mentali che possono guidare la riflessione produttiva (nel caso l'APC di de Bono), esprimessero, tutti, risposte più convincenti, andando al di là di ciò che sopra è stato indicato come "ovvio".

 

I risultati

 

Ecco i risultati riportati nelle tabelle:

 Tabella I  

 I° brano

I C

Gruppo sperimentale (9 studenti)

 

Gruppo di controllo (9 studenti)

 

Solo risposta "ovvia" (4x10.000)

Risposta "generativa" (40.000, ecc.)

 

Solo risposta "ovvia" (4x10.000)

Risposta "generativa" (40.000, ecc.)

Numero studenti

0

9

Numero studenti

5

4

II E

Gruppo sperimentale (6 studenti)

 

Gruppo di controllo (6 studenti)

 

Solo risposta "ovvia" (4x10.000)

Risposta "generativa" (40.000, ecc.)

 

Solo risposta "ovvia" (4x10.000)

Risposta "generativa" (40.000, ecc.)

Numero studenti

0

6

Numero studenti

4

2

Nota: nel caso del primo brano alcune risposte tipo dei due gruppi sperimentali, oltre a "40.000", sono state indicazioni "divergenti" come: "Sarebbero 40.000, ma io sono sicuro che ad essi vanno poi aggiunti alcuni dei prigionieri catturati durante il tragitto, costretti a combattere, secondo l'usanza antica", oppure "Tanti, molti, perché era amato dai suoi soldati, visto che era sempre in mezzo a loro" o, ancora, "Se è lecito disporre i numeri in maniera diversa, allora possiamo dire: 20.000+20.000, o 30.000+10.000, ecc.!" ed, infine, "Abbastanza da vincere moltissime battaglie".

Nei due gruppi di controllo la risposta "ovvia" è stata data anche da alcuni degli alunni considerati dagli insegnanti tra i più bravi!

 

Tabella II

 

II ° brano

 

 I C

Gruppo sperimentale (9 studenti)

 

Gruppo di controllo (9 studenti)

 

Solo risposta "ovvia" (a scuola l'amico non studiava)

Risposta "generativa" (l'amico non capiva le cose, i motivi della "pesantezza" dell'aria, la gravità, ecc.)

 

Solo risposta "ovvia" (a scuola l'amico non studiava)

Risposta "generativa" (l'amico non capiva le cose, i motivi della "pesantezza" dell'aria, la gravità, ecc.)

Numero studenti

0

9

Numero studenti

9

0

                                                                                  

 II E

Gruppo sperimentale (6 studenti)

 

Gruppo di controllo (6 studenti)

 

Solo risposta "ovvia" (a scuola l'amico non studiava)

Risposta "generativa" (l'amico non capiva le cose, i motivi della "pesantezza" dell'aria, la gravità, ecc.)  

Solo risposta "ovvia" (a scuola l'amico non studiava)

Risposta "generativa" (l'amico non capiva le cose, i motivi della "pesantezza" dell'aria, la gravità, ecc.)

Numero studenti

0

6

Numero studenti

5

1

 

Nota: nei due gruppi sperimentali accanto a risposte generiche, ma non "ovvie", tipo "Giacomo lo trattava male perché non capiva come stavano le cose lì" oppure "Lo trattava male perché non coglieva la diversità della vita di Kebola rispetto alla Terra", troviamo indicazioni molto specifiche. Due alunni, uno di I C e uno di II E, sono stati in grado di tratteggiare con particolare acume l'errore di attribuzione all'aria invece che alla massa di Kebola della pesantezza dei movimenti, commesso dall'amico di Giacomo, indicandolo come causa di quel giudizio di ignoranza.

Tra i 15 componenti dei gruppi di controllo nessuno è stato capace di tanto (per uno dei pregiudizi al riguardo più radicati e difficili da vincere negli adolescenti, come si diceva dianzi). Tutti gli alunni dei gruppi di controllo (anche i più bravi) hanno dato solo la risposta più scontata, eccetto una ragazza che ha aggiunto "l'amico non aveva studiato e per questo non capiva come stavano le cose", essendo stata l'interpretazione corrente dei suddetti gruppi che era invece tutta una questione di boria!

Nota sulle due tabelle: il test "chi quadro" in ogni caso risulta significativo, p<0,001, come si può evincere già a prima vista.

 

Una precisazione

 

In che misura è possibile affermare che i discenti i quali hanno risposto nella maniera meno ovvia, hanno realizzato per ciò stesso una comprensione profonda del brano10? Il pensiero produttivo, di secondo livello, è simile forse alla comprensione profonda?

Ogni comprensione può dirsi profonda innanzi tutto in quanto è in grado di operare collegamenti con i significati già presenti nella mente del soggetto che apprende.

Se per comprensione profonda intendiamo solo questo, però, essa è ancora quello che io ho definito pensiero di I livello. Sì, c'è un collegamento con ciò che è personale, dentro il soggetto, c'è ancoraggio alla rete di sensi soggettivi, ma si resta al testuale, in altre parole, si resta alla disposizione "evidente" del brano ed alle linee di senso che esso sembra suggerire.

Quanto richiesto dalle due domande "riflessive" non è, però, comprensione di I livello, perché bisogna avviare un "movimento", essere produttivi sul testo: fare qualcosa, cioè, che, a rigor di logica, non è necessario, perché un significato è lì a disposizione e potrebbe anche soddisfare!

Ci vuole, invece, uno sforzo di pensiero laterale, come direbbe de Bono11, per sfuggire alla trama della lettura, collegandone gli elementi in maniera non usuale.

Certo la comprensione profonda può essere intesa anche in quest'altra maniera, cioè, come capacità di riuscire a fare collegamenti di II livello - ovvero in maniera personale, testuale sì, ma anche produttiva-, tuttavia questo a mio parere è già pensiero generativo, perché comporta uno sforzo di ristrutturazione del "campo".

Questa comprensione non esiste di norma nell'apprendimento corrente, neanche nei più bravi.

D'altra parte nessuno può negare come il "pensare" di secondo livello sia il "pensare" in senso proprio, per cui vale la pena impegnarsi e che rende l'uomo tale, garantendone il vero progresso.

 

 

Conclusioni

 

I risultati di questo esperimento, certo circoscritto a due classi di adolescenti, confermano l'ipotesi di partenza. Essi sembrano indicare come in una tipica situazione scolastica l'apprendere sia in buona misura un processo separato dal pensare.

Una piccola controprova è arrivata il giorno successivo a quello in cui si sono svolti gli esperimenti. Agli studenti delle due classi era stato assegnato un nuovo compito, questa volta più semplice.

La consegna era: "Indica tutti i verbi che la parola studiare ti fa venire in mente".

In II E i 5 verbi più scelti (in ordine di frequenza) sono stati memorizzare, annoiarsi (!), capire, imparare, ricordare; in I C (in ordine di comparsa) leggere, imparare, ripetere, memorizzare, capire.

In entrambi i casi il verbo pensare è stato all'ultimo posto in termini di apparizione.

Come si vede lo studiare è memorizzare, ricordare, ripetere, al massimo capire, che è, però, cercare di intravedere per sommi capi quello che l'autore dice: ma allora il rispetto del testo ha la prevalenza su qualsiasi considerazione di natura riflessiva e personale (come il I ed il II brano hanno sinteticamente dimostrato: si pensi, ad es., ai tanti del gruppo di controllo che hanno scelto, al riguardo del brano su Alessandro Magno, la notazione 4x10.000, anche se destava più di una perplessità!).

Per portare gli alunni al vero pensiero non basta, però, rivolgere loro appelli generici perché si impegnino in tale direzione: non producono nessun effetto.

È molto più efficace l'utilizzo di strumentali mentali, come quelli offerti dalle lezioni CoRT, tra cui si trova l'APC di E. de Bono, che possono guidare ed organizzare in maniera fruttuosa gli sforzi riflessivi. Bisogna, però, che se ne faccia un uso deliberato, cioè che questi strumenti vengano richiamati esplicitamente perché essi producano un effetto considerevole.

 

Giuseppe Tidona

 

Ragusa, maggio 2004

   

 

Note:

1 Vedi Bruner,J., Goodnow, J.J., & Austin, G.A., A Study of Thinking, New York, John Wiley and Sons, 1956.

2 Nickerson, R., S., Perkins, D., Smith E., The Teaching of Thinking, Hillsdale, New Jersey, Lawrence Erlabaum Associates, 1985, p. 50.

3 Vedi Petter, G., La mente efficiente, Firenze, Giunti, 2002.

4 E. de Bono, CoRT Thinking, Blandford, Dorset, Direct Education Services Limited, 1973-1975; vedi anche de Bono, CoRT Thinking Program. Workcards and Teacher's Notes. Chicago, Science Research Associates, 1987.

5 Ib., vedi la sezione Philosophy and Background to the CoRT Lessons.

6 Ib., vedi la sezione CoRT 1.

7 Ib., vedi la sezione CoRT 1.

8 Vedi, "E' possibile migliorare la creatività e la riflessività dei ragazzi?", in Dialogo, anno XXVI, n.7, ottobre 2001, Modica, pp 1-9, e "Riflessività e creatività a scuola", in Dialogo, anno XXVII, n. 7, ottobre 2002, Modica, pp.7-8.

9 sui pregiudizi dei giovani, vedi il mio articolo "Comprensione e competenze", in Dialogo, anno XXV, n. 6, giugno 2000, Modica, p.4.

10 Vedi, sulla comprensione profonda, Marton, F., & Saljo, R., On qualitative differences in learning- I: Outcome and process, in British Journal of Educational Psychology, 1976, 46, pp. 4-11 e On qualitative differences in learning- II: Outcome as a function of the learner's conception of the task in British Journal of Educational Psychology, 1976, 46, pp. 115-27.

11 v. E. de Bono, Lateral Thinking, N.Y., Harper & Row, 1970.

 

Appendice e Tabelle dei Risultati Esperimento (Download Word Document, 196 k)

 

                                      Laboratorio Scuola (altre ricerche del prof. G.Tidona)

 

Insegnare e apprendere (ottobre 2003)

Studenti capaci e studenti incapaci (maggio 2003)

    Il tema: quali metodiche per aiutare gli studenti nello sviluppo di idee? (gennaio 2003)

  Riflessività e creatività a scuola: le lezioni Co.R.T., un secondo esperimento. (settembre 2002)

Competenze e ... sesso (gennaio 2002)

                               E' possibile migliorare la creatività e la riflessività dei ragazzi? (settembre 2001)

 

                                                              Per contattare l'Autore, si può scrivere all'indirizzo e-mail gtidon@tin.it .

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011