Shanti Magazine - dicembre 2005

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sito web:

www.centroyogashanti.org

La verità non è una teoria, non è un sistema filosofico speculativo, non è penetrazione intellettiva.

La verità è l’esatta rispondenza con la realtà. Per l’uomo, la verità è l’incontrovertibile conoscenza della propria natura…”

                                  Paramahansa Yogananda

 

 

Shanti Magazine - Dicembre 2005

Ahimsa= non- violenza, rispetto, solidarietà. Il primo passo del nostro cammino!

 di Pina Bizzarro


 

Tutti i testi classici dell’Hatha Yoga pongono l’accento sull’importanza di una serie di tecniche che favoriscono l’eliminazione delle tossine dal corpo (ne parleremo più i là in modo dettagliato) perché con un corpo intossicato sarà molto difficile padroneggiare gli asana e ancora più difficile applicare le tecniche del Pranayama e quasi impossibile affrontare le tecniche mentali che portano allo stato meditativo.

Vi rinnovo l’invito a stare molto attenti nel non cadere nella trappola di chi, per ragioni esclusivamente economiche, promette di aprire i chakra in un fine settimana. L’apertura dei chakra, o il raggiungimento di elevati stati di coscienza, tranne rarissime eccezioni, si possono ottenere solo se veramente si è lavorato a lungo su se stessi. Patanjali invece (il quale probabilmente da per scontato che un certo lavoro sul corpo si è già fatto) mette al primo posto gli Yama e Nyama, che come abbiamo visto in un numero precedente di “Shanti Magazine” sono una serie di norme morali, principi etici e regole per autodisciplinare il corpo e la mente. La prima importantissima regola che un allievo/a deve rispettare è Ahimsa, cioè l’astenersi dalla violenza. Dal momento che nessuno di noi è un serial-killer potremmo a prima vista ritenerci tutti rispettosi del principio di Ahimsa. Ma noi abbiamo appreso dalla nostra pratica che più guardiamo in profondità qualcosa e più notiamo dei particolari che in precedenza non avevamo colto; più allarghiamo la nostra visuale e più informazioni, dati, riflessioni si aggiungono alle nostre conoscenze.

Ahimsa è molto più del semplice comandamento “non uccidere”; Ahimsa  ci richiama alla non violenza in tutte le sue forme. Ad esempio potremmo essere tutti dei vegetariani stretti (vegan) ma se coltiviamo un atteggiamento critico nei confronti di chi non è vegetariano già stiamo formulando un pensiero violento nei riguardi di altre persone che magari non conosciamo bene e non sappiamo perciò le motivazioni di certe scelte. Personalmente, più di dieci anni fa, mi sono ritrovata in un gruppo che oltre a seguire un regime vegetariano si definiva fruttariano/crudista (cioè seguivano una delle alimentazioni definite più pure, fisiologiche e non-violente). Eppure ricordo perfettamente come ogni mattina alcune di queste persone si recavano di nascosto in cucina per scegliersi la frutta migliore e lasciare agli altri tutti gli scarti! Mi auguro che queste siano solo delle eccezioni che si sono verificate in seguito a eventi particolari e non sto certamente affermando che tutti i vegetariani/crudisti sono delle persone nevrotiche che pensano ad accaparrarsi solo il cibo per se stessi, tuttavia ho avuto modo di constatare che quando certe scelte radicali   (sia alimentari che di altro genere), non sono supportate da un altro grado di maturità, da  un  equilibrio  psichico e da  un   certo   percorso   spirituale, portano spesso a forti squilibri generali sia per il corpo che per la mente. Tutto questo si traduce  in una violenza verso se stessi, oltre che verso gli altri. Un ragazzo fruttariano (per più di undici anni ha mangiato solo frutta) si ritrova adesso senza denti, fortemente debilitato, con vuoti di memoria e un invecchiamento precoce allucinante. Ditemi se questo non è usare violenza contro se stessi! Tuttavia le nostre storie personali passano certamente per dei percorsi Karmici alcune volte incomprensibili per le nostre ordinarie e ristrette considerazioni mentali, quindi nessun giudizio e nessuna critica per nessuno!! Se ho citato la storia di questo ragazzo è solo per spiegare concretamente come Ahimsa non è solo aderire a un particolare regime alimentare. E non vorrei nemmeno che dal ragionamento fatto sopra qualcuno potesse pensare che il mio è un invito a mangiare carne! Adesso che si avvicina il Natale quasi tutte le tavole saranno allietate da piatti a base di zamponi, salsicce, costate e chissà che altro. Ricordiamoci, almeno noi che abbiamo scelto il cammino Yogico, che gli animali sono i nostri compagni di viaggio, anime mute (mute perché noi siano sordi al loro linguaggio come ci ricorda Ida Caruggi) che ci seguono di un passo sullo stesso sentiero. Dalla loro sofferenza giunge fino al cielo un grido silenzioso, che tocca e lacera il cuore di chi lo sa ascoltare. La sofferenza, quasi sempre giunge dalla mano dell’uomo che di questo regno inferiore dovrebbe essere l’iniziatore ed il Maestro e invece è il loro carceriere e assassino. Giuditta Dembech ci ricorda che è opportuno fare un discorso pacato senza puntare l’indice su nessuno. Fino a quando non abbiamo consapevolezza dei soprusi e della violenza che noi perpetriamo sui nostri fratelli minori, siamo in qualche modo meno colpevoli. Quando invece abbiamo raggiunto un livello maggiore di conoscenza, le nostre giustificazioni o le riserve morali si attenuano e non possiamo più dire “non lo sapevo”. Chi ha già intrapreso un percorso evolutivo ha sviluppato in modo naturale il principio di Ahimsa, che oltre ad essere non-violenza è solidarietà verso tutti gli altri esseri. Diventa sempre più naturale amare piante, pietre ed animali e quando saremo abbastanza sensibili capiremo che anche loro segretamente ci amano (ci hanno sempre amati!) e ci aiutano senza chiederci nulla in cambio.

Un sereno Natale e che ogni giorno del nuovo anno porti a noi tutti tanta luce, serenità  e desideri realizzati.

                                                                                           Om Shanti

 

 

 

Cos’è il Wesak?

 

(tratto dal libro di Giuditta Dembech “Conoscere il Wesak” – casa editrice “Ariete multimedia”)

 Ricordo che quanto segue è la continuazione di un articolo pubblicato sul numero 14 di Shanti Magazine e potete trovarlo anche  in questo sito nella pagina Shanti magazine - luglio 2005

Inoltre vi invito ancora a visitare il sito di Giuditta Dembech (www.giudittadembech.it) oltre che per leggere molti articoli  interessanti su vari argomenti potrete essere aggiornati sulle pubblicazioni dei suoi libri, alcuni dei quali sono in uscita proprio a Dicembre e dunque potrebbero essere un’interessante idea regalo natalizia.

 

“Per alcuni il viaggio potrebbe durare un mese, di cammino a piedi o con mezzi di fortuna, ma è troppo importante per rinunciarvi…

E’ una valle chiusa su tre lati da montagne in un declivio dolce. Verso nord-est si restringe e l’imboccatura in questo punto è chiusa, delimitata da un grande masso. E’ un immenso parallelepipedo squadrato di quarzite bianca, venata da un minerale luccicante. Da tempo immemorabile viene utilizzato come altare.

Questa è la valle in cui si svolge il Wesak, un luogo sacro dove nessuno arriva mai per caso, ma soltanto quando è chiamato e dunque pronto interiormente. E’ una valle sacra in uno dei luoghi più magnetici del pianeta.

Ma cos’è il Wesak e cosa lo rende così importante? E’ una festività orientale molto antica; appartiene alla tradizione buddista, ma il suo significato è molto vasto, non limitato ad una sola religione, poiché la Grande Benedizione che viene impartita è destinata a tutta l’umanità, a tutto ciò che vive sul pianeta.

Il suo significato occulto è in qualche modo simile a quello della Pasqua Cristiana, del Pesach Ebraico, del Ramadan Islamico, della festa di luce Mazdea. Tutte ricorrenze in cui si celebra un “ritorno” una “rinascita”, l’avvento di ua Grande Luce che aiuterà la crescita, l’evoluzione, la Liberazione degli esseri umani.

Il Buddha. La tradizione narra che cinquecento anni prima di Cristo, il principe Gautama Siddharta, dopo aver vissuto una giovinezza dorata tra agi e ricchezze, scelse di abbandonare tutto, scelse la rinuncia ed iniziò una nuova vita di scesi e meditazione, per comprendere l’origine della sofferenza nel mondo.

Dopo lunghissimi ani raggiunse il massimo della illuminazione divenendo così un “Buddha”, cioè un risvegliato. Aveva trascorso la sua lunga vita nell’ascesi e nell’insegnamento degli ideali di pace, amore, compassione. Grazie al suo altissimo livello di evoluzione spirituale raggiunse la perfezione, liberandosi della necessità di tornare a incarnarsi ancora sulla Terra. Ormai aveva percorso uno ad uno tutti i gradini della Conoscenza.

Per Lui non c’erano più traguardi da conquistare, tutte le mete erano state raggiunte, era divenuto la Perfezione incarnata, un Maestro Perfetto. Il suo compito sulla Terra era ormai finito… Il monaco e principe Gautama Siddharta, da qui in poi verrà detto “il Buddha”, cioè l’Illuminato. La sua morte, o meglio il passaggio nella dimensione di Luce, avviene nell’anno 480 (o forse 483) avanti Cristo, nel mese di Waisaka (maggio), nella notte del plenilunio. Immediatamente raggiunge la soglia del Nirvana, il luogo della grande Liberazione, corrispondente più o meno al nostro Paradiso.Una volta varcata quella soglia, sarà reso libero dal doloroso ciclo della rinascita e della morte, si troverà immerso per l’eternità nella luce della beatitudine. Tutti i Grandi Maestri sono là ad attenderlo, non ha che da fare un piccolo passo e di tutte le sue vite terrene non rimarrà neppure il più remoto ricordo.

La grande rinuncia. Una gioia eterna, perfetta ed incorruttibile si apre dinanzi a Lui, ma proprio quando sta per varcare quella fatidica soglia, il Buddha si arresta, si volge verso il basso e guarda il genere umano sul pianeta che ha appena abbandonato…

In un solo colpo d’occhio vede tutti gli esseri schiacciati dalla sofferenza, dalla fatica, dalle malattie, dalla fame, li vede esposti alla violenza della natura e dei loro stessi simili. Da ogni angolo della terra sale fino a lui il grido di dolore di tutte le creature, dal più piccolo batterio ai  minerali frantumati nella fornace, all’erba calpestata e falciata. Gli giunge il grido degli animali frustati e macellati, degli uomini, delle donne e dei fanciulli in lacrime…e il suo cuore compassionevole prova pietà. Proprio Lui, che è stato definito il Mastro di Compassione non può andarsene, non se la sente di immergersi per l’eternità nella luce ed abbandonare tutti questi esseri al loro destino…Sulla soglia della beatitudine, ad un passo dalla liberazione e dall’oblio il Buddha si ferma, non ha il coraggio di proseguire…

La Promessa. Dinanzi a lui sono schierati tutti i grandi Maestri della Gerarchia, sono là per accoglierlo e dinanzi a loro formula il solenne giuramento: non entrerà nel Nirvana fino a quando non vi sarà entrato prima di lui l’ultimo degli esseri umani…Fino a quel momento Lui, il Buddha rimarrà in amorevole attesa, ed ogni anno tornerà sulla Terra nel suo corpo di Luce, a portare la Sua benedizione, la sua mano tesa per aiutare ed incoraggiare la crescita dell’umanità. 

(continua nel prossimo numero ...)

 




 

CARATTERISTICHE DEGLI ASANA

di Pina Bizzarro

Il termine asana significa letteralmente “posizione seduta” o semplicemente “posizione”: esso indica una postura corporea che contribuisce alla stabilità fisica e mentale e ingenera un senso di benessere. Tuttavia il termine posizione non spiega completamente il significato di asana. In una “posizione”, anche se questa viene mantenuta senza grande sforzo, non vi è generalmente alcuna considerazione dell’atteggiamento mentale: questo può variare nelle diverse posizioni. Ad esempio, ci rilassiamo comodamente stando seduti in poltrona, eppure, in quella pur confortevole posizione, può capitarci di essere mentalmente turbati a causa di determinate concatenazioni di pensieri.  Molte posizioni corporee sono assunte e mantenute ad opera del sistema nervoso, al di sotto della coscienza, cioè senza il concorso dell’attenzione. Un asana viene assunto dapprima volontariamente, poi può essere mantenuto, ma l’attività di mantenimento e controllo si svolge ad di sotto del livello della coscienza.

Il processo del pensiero non dovrebbe interferire nella tenuta degli asana. Invece un genere particolare di consapevolezza è consigliato durante il mantenimento dell’asana stesso (consapevolezza del respiro), in modo che vi siano meno interferenze possibili dovute all’attività mentale. Nessun ulteriore movimento (eccetto quello necessario per assumere l’asana) viene imposto al corpo, ed anche il movimento per assumere l’asana e per abbandonarlo viene effettuato in una maniera particolare, cioè lentamente e con dolcezza. Al contrario, i movimenti per assumere una comune posizione corporea non sono così importanti e possono essere effettuati in un modo qualsiasi. Le posizioni ordinarie, sia esse in piedi, sedute, oppure coricate, non costituiscono un esercizio speciale per i muscoli e i nervi interessati. Negli asana invece è richiesto un allenamento specifico tanto sul piano fisico quanto su quello mentale. Inoltre, le posizioni ordinarie possono essere mantenute con l’aiuto di un sostegno esterno (ad es. stando seduti su una sedia): gli asana invece non richiedono alcun sostegno ad eccezione del suolo.

Qualche volta il termine asana viene tradotto con “posa”, ma questa parola non è adatta a spiegare che cos’è un asana. Una “posa” non è una posizione naturale del corpo: essa può essere una posizione artificiosa che si assume per esprimere un’emozione o un pensiero.

Gli asana, al contrario, non devono “esprimere” nulla: anche sul volto non vi è alcuna “espressione” durante la pratica degli asana. Una posa assunta per qualche secondo, può condurre ad uno sforzo fisico e mentale.

Gli asana non producono stanchezza a nessun livello: al contrario, si deve provare una sensazione di benessere anche dopo che la seduta è terminata.

Asana  non è nemmeno “esercizio” perché l’esercizio fisico comporta stanchezza dovuta allo sforzo. L’espressione “esercizio fisico” dà l’idea di movimenti rapidi e forzati, eseguiti ripetutamente, di tutto il corpo o di parte di esso. Gli asana, al contrario, sono prevalentemente di natura statica: non sono quindi previste ripetizioni, né tensione, né affaticamento muscolare.

Gli asana perciò possono soltanto essere definiti come modelli posturali. La postura richiesta da un dato asana deve essere conseguita lentamente, deve quindi essere mantenuta restando immobili, infine deve essere abbandonata adagio e con movimenti dolci. Nei diversi asana tutto il corpo e la mente vengono sottoposti ad un allenamento graduale, attraverso particolari meccanismi neuromuscolari coinvolti nell’esecuzione: questo fatto è destinato ad apportare gradualmente alcuni specifici cambiamenti nell’intera personalità dell’individuo. Ciò che è fondamentale dunque è il modello posturale che l’asana implica: ad esso compete la funzione di educare il corpo e la mente, preparandoli alle pratiche yogiche più avanzate, cioè pranayama, pratyahara, dharana e dhyana.

Ogni asana implica due dasi: a) fase dinamica; b) fase statica. Nell’esecuzione dell’asana un certo movimento è indispensabile, tanto per assumerla quanto per ritornare alla posizione iniziale.

Questi movimenti, come si è detto, devono essere lenti, sicuri e senza scatti, in modo che non vi sia tensione o fatica….. (continua sul prossimo numero di Shanti Magazine)



 

Questa pagina è pubblicata a cura del “Centro Yoga Shanti”

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011